Contenzioso

Repêchage esteso a posizioni libere in futuro

Secondo la Cassazione è ininfluente che si prevede la successiva soppressione

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di Angelo Zambelli

Nuovo allargamento dell’obbligo di repêchage: la Corte di cassazione (sentenza 12132/2023) ha stabilito che il datore di lavoro, nel valutare la ricollocabilità del dipendente prima di procedere al suo licenziamento, deve prendere in esame anche quelle posizioni che, pur ancora ricoperte, si renderanno «disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso».

Secondo i giudici, con un’interpretazione estensiva degli obblighi di correttezza e buona fede che devono informare il rapporto di lavoro anche nella fase del recesso, la situazione aziendale cristallizzata al momento del licenziamento non costituisce più il perimetro certo entro cui valutare la ricollocabilità del lavoratore. L’obbligo di repêchage deve, infatti, riguardare anche posizioni lavorative “prossimamente” disponibili.

Tale principio viene affermato in relazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore, ritenuto illegittimo, appunto, per violazione dell’obbligo di repêchage, nell’ambito di una complessa vicenda processuale (c’era già stato un rinvio alla Corte d’appello). Nel caso specifico, le posizioni lavorative «disponibili in un arco temporale del tutto prossimo» erano quelle di due colleghi, con mansioni fungibili rispetto a quelle svolte dal licenziato che, al momento del licenziamento, avevano già rassegnato le dimissioni e si trovavano in preavviso.

Sennonché emerge dalla sentenza che le dimissioni non erano state spontanee, bensì incentivate nell’ambito di una riorganizzazione aziendale, dovendosi ipotizzare come posizioni in esubero. Queste ultime non potevano, peraltro, nemmeno dirsi “disponibili”, come dimostrato dall’assenza di nuove assunzioni successive, con la conseguenza che il lavoratore aveva perso i primi due gradi di giudizio.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto le difese dell’azienda inammissibili, in quanto introduttive di circostanze di fatto nuove e diverse rispetto a quelle inizialmente allegate nel corso del lungo giudizio dalla società (inizialmente si era difesa affermando che, al momento del licenziamento, le posizioni lavorative erano ancora coperte).

Il che, francamente, lascia perplessi. Anche volendo imporre al datore di lavoro di valutare la ricollocabilità del dipendente in relazione a posizioni disponibili a breve (e di cui sia a conoscenza al momento del licenziamento), la Cassazione avrebbe dovuto quantomeno dare rilievo al carattere di effettiva disponibilità delle posizioni in questione, anche alla luce di riorganizzazioni aziendali in atto.

In assenza di limiti chiari e predeterminati, l’estensione dell’obbligo di repêchage a posizioni lavorative disponibili in un futuro “prossimo” rischia di introdurre nell’ordinamento un criterio applicativo tutt’altro che prevedibile, con buona pace del canone della certezza del diritto e aumento inevitabile del contenzioso.

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