Welfare

Salute e benessere, nuove vie per trattenere i lavoratori

di Cristina Casadei

Se si chiede ai lavoratori se apprezzano i benefit, la risposta, in generale, è sì. Se però, poi, andiamo a vedere l’indice di gradimento, questo sale a seconda che i beni e i servizi offerti rispondano ai loro bisogni, dove c’è sempre più attenzione a due fattori in particolare: la salute e, in una visione più ampia, il benessere. Questo emerge anche dai contratti collettivi nazionali di lavoro dove, nei rinnovi, le parti stanno puntando molto sul rafforzamento dei fondi sanitari e delle coperture e sull’iscrizione generalizzata dei lavoratori. Basti pensare all’ultimo rinnovo del settore gomma plastica o a quello che sta avvenendo nel sistema moda. O prima ancora nella chimica farmaceutica. Per capire cosa sta accadendo più a livello aziendale, Mercer Marsh Benefits, società del gruppo Marsh McLennan che offre consulenza in ambito benefit, nella sua survey “Health on demand” ha sentito 17.500 lavoratori a livello mondiale, in 16 mercati. Di questi oltre 1.000 sono in Italia.

Le nuove vie della fidelizzazione

Dalle risposte italiane emerge un quadro di stress, ma anche una maggiore consapevolezza da parte dei lavoratori dei propri bisogni in termini di salute fisica e mentale. Proprio per questo «le aziende hanno la grande e concreta opportunità di giocare un ruolo decisivo nella vita delle persone: i lavoratori che saranno soddisfatti dell’offerta di soluzioni e servizi a supporto della salute e del benessere generale, proposti dal proprio datore di lavoro, saranno maggiormente ingaggiati, creando con la propria azienda un solido legame. I dati dello studio ci mostrano infatti che oltre 3 dipendenti su 4 (77%) che hanno accesso a un piano di benefit aziendale ricco e strutturato dicono che non lasceranno la propria azienda. Un dato in aumento, visto che in un anno è passato dal 49%, il dato 2022, al 77%, il dato di oggi», spiega Sarah De Rocco, chief commercial officer di Marsh McLennan.

La crescita dei benefit sulla salute

Dopo la pandemia, il tema dei servizi alla salute offerti dalle aziende ha assunto importanza sempre maggiore, essendo strettamente correlato al grado di ingaggio nell’ambito dell’organizzazione. In altri termini, un lavoratore che non si sente “protetto” dall’azienda rispetto alla sua salute, fisica e mentale, proverà minore coinvolgimento e sarà meno produttivo. Già lo studio Global Talent Trends di Mercer evidenziava qualche mese fa che un lavoratore su tre sarebbe disposto a rinunciare a un aumento salariale per una maggiore copertura sanitaria per sé e per i propri familiari. Sempre la medesima analisi mostra come, a livello globale, l’88% delle aziende dichiara di abbracciare una cultura del benessere e dell’attenzione verso i dipendenti. Eppure dallo studio Health On demand, che interroga direttamente i lavoratori, emerge che solo il 66% si sente effettivamente protetto, numero che scende a livello europeo fino al 58% e addirittura al 48% in Italia.

L'EFFETTO RETENTION DEI BENEFIT

La personalizzazione dei piani

«Gli investimenti nei benefit rivolti alla copertura sanitaria e al supporto psicologico sono aumentati continuamente dal 2020 e oggi ci si interroga su come ridisegnare la strategia dei benefits perseguendo obiettivi di personalizzazione. Al contempo occorre dare la massima priorità alla stabilizzazione della spesa nel medio-lungo termine, anche alla luce della persistente crescita dell’inflazione generale e di quella sanitaria», continua Sarah De Rocco. «È l’era degli inclusive benefits. Piuttosto che continuare a offrire gli stessi benefit del passato e con le stesse modalità, occorre ripensare e ridisegnare la propria strategia di benefit rivolta all’identificazione di personas, attraverso una serie di analisi approfondite, dedicate a comprendere le esigenze della propria popolazione aziendale non solo per categoria – genere, età –, ma anche in base all’attuale fase di vita in cui il lavoratore si trova e a ulteriori bisogni in una logica equa e inclusiva».

LA COPERTURA

Il valore della copertura sanitaria

Le risposte dei lavoratori suggeriscono che ampliare a una più ampia fetta di popolazione aziendale la copertura sanitaria fa la differenza. In particolare, in Italia, dove «non solo la spinta inflazionistica ha eroso il potere di acquisto dei lavoratori, ma si assiste anche a un progressivo collasso del sistema sanitario nazionale, dove aumenta la difficoltà di accesso a esami diagnostici e a visite specialistiche, ma anche ad interventi chirurgici più o meno urgenti - osserva De Rocco -. In questo contesto, le aziende che sapranno pianificare strategicamente la propria offerta di benefit legati alla salute vinceranno la sfida dei talenti, risultando più attrattive per i lavoratori in entrata e anche per quelli considerati fondamentali nell’ambito dell’organizzazione esistente».

Le differenze generazionali

La ricerca mette a confronto anche i diversi comportamenti delle generazioni. In particolare esamina i bisogni espressi dalla Generazione Z, ossia i nati tra il 1997 e il 2012, che entro il 2025 rappresenterà il 27% della popolazione aziendale, e che mostra rilevanti differenze rispetto alla Generazione X: per esempio dichiarano nel 62% dei casi di decidere di rimanere nell’azienda in cui lavorano in base ai benefit che ricevono. Un dato che nella generazione X è pari al 42%. Sono lavoratori molto più attenti ai benefit offerti dall’azienda e influenzano profondamente le opinioni delle altre generazioni, cercando soluzioni innovative a problemi tradizionali. Nella ricerca di Oliver Wyman A – Gen – Z, emerge che il 50% dei lavoratori appartenenti a questa fascia di popolazione dichiarano di sentirsi stressati quotidianamente e il doppio delle volte più esposti rispetto alla malattia mentale. Anche se in Italia i lavoratori più stressati risultano far parte della Gen X (51%), il che potrebbe essere correlato all’impegno da caregiver spesso evidenziato da questi lavoratori.

Il comportamento delle donne

La ricerca dedica un focus anche alle lavoratrici donne, categoria particolarmente insoddisfatta sulle coperture sanitarie aziendali. Alcune situazioni che le donne si trovano ad affrontare, come la maternità o la menopausa, non hanno l’attenzione necessaria. Un esempio è rappresentato dai servizi a supporto delle donne caregiver di adulti: solo il 15% dichiara di essere stato aiutato dal datore di lavoro, mentre il 62% afferma di avere bisogno di aiuto in questo ambito. Pur essendoci solo stime del numero delle donne caregiver in Italia, va comunque rilevato che durante la pandemia, la maggioranza delle persone che hanno dovuto lasciare il lavoro per occuparsi dei propri familiari era donna.

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