Contenzioso

Sgravi sui contributi solo se l’accordo è siglato dai sindacati più rappresentativi

di Silvano Imbriaci

Per l’applicazione degli sgravi contributivi, nel caso di aziende contoterziste, il contratto collettivo di riferimento per determinare la retribuzione parametro è quello stipulato a livello nazionale delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

È il principio espresso dalla sezione lavoro della Cassazione nella sentenza 19639/2015, in un caso in cui l'Inps aveva contestato il riconoscimento dello sgravio contributivo previsto dalla legge 448/1998 (articolo 3, comma 6) a un'azienda svolgente attività di confezionamento di capi di abbigliamento per conto terzi (c.d. façonista), sotto il profilo della mancata osservanza del contratto collettivo nazionale di categoria, da individuarsi non nel contratto collettivo 18 agosto 2000 (relativo al personale del settore abbigliamento – lavorazioni a façon) quanto in quello nazionale riguardante i dipendenti delle industrie tessili, dell'abbigliamento e della moda. Solo quest'ultimo infatti era stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale (Cgil, Cisl e Uil), mentre il contratto dell'agosto 2000 era stato sottoscritto da altre organizzazioni sindacali di settore (Cnai – Anifil – Mcm – Cisal – Failt e Federcalzature), che non era stato provato configurarsi come maggiormente rappresentative a livello nazionale.

L'articolo 3, comma 6 della legge 448/1998, infatti, in relazione all'accesso agli sgravi contributivi di cui al quinto comma della stessa disposizione, prevede che tali agevolazioni sono applicabili a condizione che siano osservati i contratti collettivi nazionali per i soggetti assunti (lettera g), senza per la verità specificare a quale contrattazione (e retribuzione) occorra fare riferimento. In genere le misure di agevolazione in materia contributiva sono attribuite o in funzione territoriale (ed è il caso degli sgravi contributivi per il Mezzogiorno di cui al comma 5), oppure quale benefici di carattere generale (nel caso di provvedimenti di fiscalizzazione degli oneri sociali, destinati a particolari settori produttivi, in funzione di riduzione del costo del lavoro).

In entrambe le versioni, la normativa di riferimento ne ha subordinato l'accesso all'applicazione nei confronti dei dipendenti dei contratti collettivi nazionali e degli accordi aziendali vigenti per il settore di appartenenza dell'impresa, o comunque all'attribuzione di trattamenti economici non inferiori rispetto a quelli minimi previsti dai Ccnl di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (si veda per esempio l'articolo 4 della legge 502/1978 e l'articolo 1, della legge 782/1980). Del resto l'articolo 1 del Dl 338/1989 ha stabilito che la retribuzione da prendere come base per il calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore rispetto all'importo delle retribuzioni stabilite da leggi, regolamenti e contratti collettivi. Sul punto, la successiva norma interpretativa (articolo 2, comma 25 della legge 549/1995), ha precisato che nel caso di coesistenza di più contratti collettivi, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali debba essere quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria.

Quello dei benefici contributivi è dunque un ambito nel quale la libertà sindacale trova un contemperamento nel rilievo pubblicistico che gli istituti degli sgravi e della fiscalizzazione assumono, in quanto destinati ad operare per un verso nella politica economica nazionale, per altro verso nella tutela retributiva dei singoli lavoratori. Nel caso di specie, il rilievo pubblicistico dei benefici contributivi si misura in particolare con l'obiettivo di contrastare il lavoro nero e i fenomeni di sotto-occupazione, e quindi di evasione contributiva massiccia, oggettivamente assai frequenti nelle aziende del settore.

Al fine di evitare che, grazie alla libertà sindacale e di regolamentazione dei rapporti, possa essere scelto un inquadramento produttivo maggiormente vantaggioso per le aziende, e magari penalizzante per i lavoratori, senza alcuna conseguenza ai fini dell'accesso agli sgravi contributivi, la posizione della Cassazione del 2015 sul punto è assai rigida. Dunque non vi è motivo per evitare l'inquadramento nel settore tessile e, sotto il profilo contrattuale, deve essere applicata la contrattazione collettiva nazionale di riferimento stipulata dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (dipendenti industria tessile), al fine di individuare la retribuzione parametro per la commisurazione della contribuzione previdenziale (per un precedente specifico Cassazione 7781/2015).

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