Contenzioso

Sì al licenziamento per un furto lieve: per i giudici viene meno la fiducia

Anche una raccolta punti fraudolenta a proprio beneficio può costare il posto. Per le sentenze conta la violazione dei doveri di correttezza e buona fede

di Pasquale Dui

In fatto di licenziamento per appropriazione di beni aziendali, non conta il quanto, conta piuttosto la violazione della fiducia. Come ha stabilito il Tribunale di Milano (decreto 24 luglio 2022), sulla scia di una giurisprudenza che sta prendendo consensi (si veda la scheda a fianco per altre pronunce), la deviazione dai principi fondanti il rapporto di lavoro subordinato, nel caso di appropriazione di beni aziendali, anche di modico valore, è talmente evidente e grave da rendere irrilevante la codificazione di una norma comportamentale ad hoc, sia in policy specifiche, sia nel Codice etico aziendale: si tratta, difatti, di una severa violazione di ciò che la coscienza sociale considera il minimum etico e idonea, in quanto tale, a rilevare quale giusta causa di licenziamento in forza delle previsioni generali dell’articolo 2119 del Codice civile e dell’articolo 3 della legge 604/1966.

La questione più delicata è il rapporto di proporzionalità tra il provvedimento espulsivo e la tenuità del danno arrecato al datore di lavoro, che viene risolta dalla giurisprudenza a sfavore del lavoratore per la rottura irrimediabile del vincolo fiduciario che il fatto implica.

Il caso

Secondo i fatti alla base della pronuncia del Tribunale di Milano, un lavoratore, durante i rifornimenti di gasolio con l’autovettura aziendale, caricava i punti fedeltà sulla propria carta carburante, in misura doppia rispetto a quella normalmente spettante, raggiungendo, via via, il limite di punti per fruire del regalo personale di una confezione di pasta. Il lavoratore convinceva il distributore di carburante ad accreditargli un doppio punteggio, attraverso il riferimento a una categoria di gasolio «high performance», che non figurava nella ricevuta di pagamento, nonché attraverso la modalità self service in luogo di quella del rifornimento diretto.

Le motivazioni dei giudici

Secondo i giudici del tribunale di Milano, innanzitutto, sul fatto che la condotta così serbata dal dipendente costituisca un inadempimento non pare esservi dubbio. D’altronde, lo stesso ricorrente – sentito nell’immediato del controllo – aveva sottoscritto il «verbale di ispezione e controllo servizi» dichiarando «sono pentito di quanto accaduto e non si ripeterà più», dopo aver ammesso «la reiterazione (più e più volte) di tale condotta». Il giudice osserva che optare per la modalità di rifornimento più costosa, al solo fine di trarne un vantaggio personale, inducendo poi in errore il datore di lavoro con la produzione di documentazione fiscale attestante dati non corrispondenti al vero, costituisce una aperta e grave violazione dei più basilari doveri di correttezza e buona fede previsti dagli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, nonché un comportamento palesemente contrario ai doveri di diligenza e fedeltà che specificamente gravano sul dipendente in virtù del disposto degli articoli 2104 e 2105 del Codice civile.

La deviazione dai principi fondanti il rapporto di lavoro subordinato è talmente evidente e grave da rendere del tutto irrilevante la codificazione di una norma comportamentale ad hoc, sia essa in policy specifiche, sia essa nel codice etico aziendale.

Quello di cui si discute, d’altronde, è un comportamento a potenziale rilevanza penale e tanto basta, a parere del giudicante, per concludere altresì per l’infondatezza della doglianza in punto di violazione del principio di proporzionalità.

In tema di sanzioni disciplinari e licenziamento, «giusta causa di licenziamento» e «proporzionalità della sanzione disciplinare» sono nozioni che la legge, per adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione, sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

LE PRONUNCE

Bene messo in vendita su E-bay

La gravità del fatto appare emergere, sia nella sua dimensione oggettiva quale comportamento fraudolento attuato dal dipendente approfittando dell’incarico in forza del quale aveva la possibilità di accedere al magazzino, sia nella sua dimensione soggettiva, dovendosi ravvisare l’intenzionalità di sottrarre contro la volontà del proprietario un oggetto ritenuto peraltro di (un qualche) apprezzabile valore (dacché posto in vendita sul proprio account e-bay), per trarne un personale vantaggio. Il disvalore insito nel fatto compiuto – l’aver prelevato indebitamente il bene aziendale e poi l’averlo posto in vendita, indipendentemente dal suo modico valore intrinseco – è sufficiente a ritenere integrata un’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario esistente con il datore di lavoro e compromesse le aspettative sul futuro puntuale adempimento della prestazione e dunque proporzionata la sanzione del licenziamento in tronco.

Tribunale di Roma, sentenza 408 del 18 gennaio 2023

Non rileva solo il penale

In caso di licenziamento del lavoratore per abusivo impossessamento di beni aziendali, per determinare la consistenza dell’illecito non rileva, di regola, la qualificazione fattane dal punto di vista penale (e, in particolare, se l’illecito integri il reato consumato di furto o appropriazione indebita o solo il tentativo). È necessario che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, e specialmente dell’elemento essenziale della fiducia, e che la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del prestatore rispetto agli obblighi lavorativi.

Corte d’appello di Roma, sentenza 2307 del 24 maggio 2022

La truffa sui punti fedeltà

La dipendente di un supermercato con mansioni di cassiera, è stata licenziata per aver accreditato alcuni importi delle spese fatte dai clienti sulla propria carta punti fedeltà, in svariate occasioni, nell’arco temporale di sette mesi. Per accertare la giusta causa di licenziamento si deve considerare il disvalore intrinseco della condotta, senza che abbia rilievo l’entità del danno che ne possa conseguire.

Cassazione civile, sentenza 14760 del 10 maggio 2022

Da valutare le circostanze

Non si può prescindere dalla valutazione delle circostanze concrete del rapporto di lavoro instaurato neanche quando una condotta qualificabile come furto in azienda è prevista dal Ccnl come motivo di licenziamento. Una sentenza della Cassazione, pronunciandosi su un caso di furto di merendine dal distributore, ha sancito l’illegittimità del licenziamento intimato al dipendente che aveva prelevato i prodotti senza pagarli.

Cassazione civile, ordinanza 17288 del 27 maggio 2022

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