Contenzioso

L’amministratore e il socio possono essere dipendenti se c’è vincolo di subordinazione

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di Antonella Iacobellis

La Corte di Cassazione (sentenza 27 gennaio 2022, n. 2487) torna a pronunciarsi su un tema che erroneamente è ritenuto pacifico (se non per fattispecie che non lasciano dubbi): quello sulla compatibilità tra il ruolo di amministratore di società (e di socio) e lavoratore subordinato.

Nel 2019, sul tema, era anche intervenuta l'Inps con il messaggio 3559/2019 che aveva ripercorso i diversi orientamenti giurisprudenziali succedutisi, in ordine alla compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e l'instaurazione, tra la società e la persona fisica che l'amministra, di un autonomo e diverso rapporto di lavoro subordinato, atteso che il riconoscimento di detto rapporto esplica effetto ai fini delle assicurazioni obbligatorie previdenziali e assistenziali. Lo stesso messaggio concludeva come segue: «Tutto ciò premesso, la valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali (il riferimento è alle sole tipologie di cariche ritenute in astratto ammissibili) con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato presuppone l'accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni: che il potere deliberativo (come regolato dall'atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell'ente, sia affidato all'organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno; che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell'assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all'effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell'organismo sociale a cui appartiene; il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite».

La Corte di cassazione torna sul tema esaminato, con una fattispecie inerente alla compatibilità della cumulabilità del rapporto di lavoro subordinato di due soggetti che nella compagine aziendale svolgevano anche il ruolo di soci - entrambi al 50% - della società e di componenti (gli unici) del Consiglio di amministrazione. Sul punto, la sentenza in esame precisa che la Corte d'appello di Firenze aveva rigettato le domande di una società nei confronti dell'Inps, che aveva disconosciuto, con verbale ispettivo, la natura subordinata dei rapporti di lavoro intrattenuti dalla società stessa con due (unici) soci nonché con due (unici) componenti del Consiglio di amministrazione. La Corte d'appello aveva infatti ritenuto che la qualità di entrambi quali amministratori della società «sia pure con riserva, nella delibera di loro nomina, della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali - comprese quelle relative al personale ostasse alla costituzione di un vincolo di subordinazione alla società amministrata e del conseguente potere confermativo di quella sulla loro prestazione lavorativa, per la decisività della volontà di ognuno dei due nella formazione del processo decisionale».

Avverso tale decisione della Corte di secondo grado, la società ricorreva dinnanzi ai giudici di Cassazione con due motivi di gravame.La Suprema corte, nel rigettare i motivi posti alla sua attenzione, ha ribadito preliminarmente il concetto secondo cui, nel nostro ordinamento, sussiste l'incompatibilità della condizione di lavoratore subordinato esclusivamente con la qualifica di amministratore unico della società stessa, non potendo in tal caso realizzarsi un effettivo assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che caratterizza la subordinazione. Diversamente: «sono cumulabili la carica di amministratore e l'attività di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali, purché sia accertata, in base ad una prova di cui è necessariamente onerata la parte che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato, l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione, ossia l'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società».

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che, poiché nessuno dei due amministratori poteva adottare – in assenza di una decisione congiunta di entrambi, come da delibera di nomina – autonome decisioni gestorie sul proprio rapporto di lavoro, agli stessi venisse a mancare un autonomo potere direttivo sul personale rapporto di lavoro, conferito invece a un diverso centro decisionale di «amministrazione congiunta sovrapersonale». Peraltro, l'onere probatorio in questione spettava all'ente previdenziale, in quanto soggetto tenuto, in linea generale, alla dimostrazione dei fatti costitutivi dell'obbligo contributivo, che non risultava neppure assolto.

L'arresto sebbene si pronunci su un tema oltremodo ricorrente resta senza dubbio interessante nell'aggiungere un ulteriore tassello d'analisi inerente all'esame della sussistenza o meno, nei casi in cui tale accertamento, dovesse risultare utile, di un «centro decisionale di amministrazione congiunta sovrapersonale» nel caso in esame realizzatosi nell'essenzialità della volontà di ciascuno nel processo decisionale.

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