Il CommentoRapporti di lavoro

Una sentenza problematica sui rapporti tra trattazione scritta e rito del lavoro

di AGI a cura di Marco Menicucci

La decisione del Tribunale di Cosenza 14 marzo 2023, n. 425, arriva in un momento in cui ferve il dibattito circa la compatibilità tra il rito del lavoro e la sostituzione dell'udienza con note scritte (P. SORDI, In difesa del processo del lavoro: perché la trattazione scritta è incompatibile con il rito lavoro, in giustiziacivile.com; G. MOLTENI, Le modalità di trattazione dell'udienza, in F. M. GIORGI, S. CIASCHI, (a cura di), Riforma del processo e controversie di lavoro con approfondimenti sul giudizio di cassazione, Giappichelli, 2023).
L'esperienza del diritto emergenziale aveva già fatto percepire quanto fosse difficile questo rapporto, ma la peculiarità e la transitorietà della situazione facevano sperare che tale problema sarebbe stato superato con l'uscita dalla pandemia.
Invece, l'istituzionalizzazione della possibilità di sostituire l'udienza con note scritte prevista dalla riforma Cartabia (art. 127- ter c.p.c.) fa esplodere la questione in tutta la sua drammaticità, anche perché il legislatore non si è affatto posto il problema di scrivere norme che fossero almeno in qualche misura volte a tenere conto delle peculiarità del processo del lavoro.
La sentenza in commento riguarda la normativa emergenziale, ma rappresenta un preoccupante campanello d'allarme anche per il futuro.
Accadeva che il resistente all'atto della costituzione in giudizio versasse in giudizio un certo documento; il ricorrente nelle successive note di trattazione scritta lo contestava, prendeva posizione sulle difese di controparte e produceva ulteriore documentazione. Dalla lettura della sentenza si comprende, anche se non in maniera chiarissima, che ciò sia avvenuto con le note di trattazione scritta che sostituivano la prima udienza.
Ebbene, il giudice calabrese ha dichiarato inammissibili le argomentazioni difensive contenute nelle note in quanto per legge le stesse avrebbero dovuto contenere esclusivamente "istanze e conclusioni".
Tale argomentazione tuttavia stride con la legge processuale e con la giurisprudenza della Suprema Corte; essa manifesta anche le tensioni cui sopra si accennava e che purtroppo appaiono destinate ad aumentare in futuro.
Il codice di rito obbliga il ricorrente a prendere immediatamente posizione sulle difese del resistente: se il ricorrente non contesta specificamente i fatti dedotti da controparte, essi divengono pacifici. La stessa necessità di reazione immediata riguarda le difese la cui necessità sorga da quelle del resistente e per il deposito di documentazione (o l'indicazione di altri mezzi di prova).
Insomma, il ricorrente non avrebbe potuto fare nulla di diverso da ciò che ha fatto, a meno di non voler andare incontro al fenomeno – processualmente irreversibile – della non contestazione, nonché alla decadenza dai nuovi mezzi di prova: in questo gli artt. 115 e 420 c.p.c. non lasciano margine di diversa interpretazione.
Ed in tal senso la Corte di cassazione ha già avuto modo di pronunciarsi con chiarezza, affermando che nel rito del lavoro la normativa emergenziale non limita «le attività che le parti avrebbero potuto svolgere in udienza; in particolare, le note di trattazione scritta che tengono luogo della udienza di discussione della causa ben possono estendersi alle attività assertive ed argomentative, in fatto ed in diritto, in modo da garantire che lo scambio ed il deposito delle note assicuri l'effettivo "svolgimento della udienza"» (Cass. 15999/2022).
Con questa pronuncia il Supremo Collegio ha pure posto in luce che il riferimento alle sole "istanze e conclusioni" non intende «porre limiti all'esercizio dell'attività di difesa ma affidare al contraddittorio cartolare esattamente quelle attività che i difensori delle parti avrebbero altrimenti svolto in udienza dinanzi al giudice».
A voler proseguire il ragionamento, viene ulteriormente confermata la difficoltà di conciliare processo del lavoro e trattazione scritta. Difatti, se – interpretando la normativa secondo quanto stabilito dai giudici di legittimità - il Tribunale non avesse dichiarato l'inammissibilità delle difese del ricorrente, si sarebbe posto il problema di consentire al resistente di replicare a sua volta (si veda al riguardo Cass. 31960/2022).
Non è ovviamente possibile in questa sede dilungarsi oltre sulla compatibilità tra trattazione scritta e rito del lavoro. Certamente va preso atto che il legislatore dell'emergenza non si era occupato di questo problema - come evidenziato dalla sopra citata sentenza dei giudici di Piazza Cavour - ma che il contesto rendeva probabilmente giustificabile tale mancanza.
Il fatto però che anche la riforma Cartabia lo abbia completamente trascurato appare invece inaccettabile, ed è facilmente prevedibile che ciò costringerà gli operatori a misurarsi con gli innumerevoli casi che la pratica presenterà, con difficili complicazioni processuali ed allungamenti dei tempi del giudizio. Proprio il contrario dello scopo che la riforma si prefiggeva.