Contenzioso

Prevenzione patrimoniale e crediti di lavoro subordinato

di Enrico De Luca e Francesca Tugliani

Con la sentenza n. 94 del 28 maggio 2015, la Consulta ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Caltanissetta in merito all'articolo 1, commi da 198 a 206, della legge 228/2012, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)” nella parte in cui – nei casi di confisca disposta all'esito di procedimenti di prevenzione per i quali non si applica la disciplina dettata dal Libro I del D.lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della L. n. 136/2010) – esclude dai soggetti legittimati a valersi della procedura di accertamento dei crediti ex art. 58, c. 2 del summenzionato decreto, anche “i creditori privilegiati (ed in particolare i lavoratori dipendenti)”. Il Tribunale rimettente, nella propria ordinanza, precisava di doversi pronunciare sulle istanze di dipendenti volte ad ottenere il pagamento del credito per TFR vantato nei confronti di una s.r.l. le cui quote e il cui patrimonio erano stati confiscati, in esito ad un procedimento di prevenzione. Nei casi in questione, non era applicabile l'art. 52 del D.lgs. n. 159/2011, in quanto la proposta di applicazione della misura di prevenzione era stata formulata prima dell'entrata in vigore del predetto decreto e, pertanto, ai sensi dell'art. 117 di quest'ultimo, il procedimento era sottoposto alle norme previgenti. Relativamente ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del D.lgs. n. 159/2011, osservava il Tribunale, che l'art. 1, c. 198, L. n. 228/2012, aveva successivamente ampliato il novero dei soggetti “legittimati all'azione”. Tra questi ultimi – a differenza di quanto avveniva per i procedimenti iniziati nel vigore del D.lgs. n. 159/2011 - non erano stati però inclusi i titolari di crediti da lavoro dipendente che non erano anche ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione. Per tali creditori pertanto era applicabile la normativa di cui agli artt. 2-ter e seguenti della L. n. 575/1965. In ragione di ciò, secondo il Tribunale nisseno, i c. da 198 a 206, della L. n. 228/2012 erano in contrasto (i) con l'art. 3 della Costituzione poiché determinavano una irragionevole disparità di trattamento di casi analoghi, in correlazione alla mera variabile temporale rappresentata dalla data di avvio del procedimento di prevenzione; (ii) con l'art. 24 della Costituzione in quanto non consentivano ai dipendenti di dimostrare “il proprio affidamento incolpevole nella regolarità del rapporto di lavoro”; (iii) con l'art. 36 della Costituzione poiché la non estensione della procedura di accertamento anche ai titolari di crediti di lavoro dipendente, avrebbe comportato, nelle ipotesi di confisca dell'azienda, una grave lesione del diritto alla retribuzione, non giustificabile alla luce delle finalità di sicurezza pubblica sottese alla misura di prevenzione patrimoniale. La Consulta, ad esito del proprio scrutinio di costituzionalità, ha dichiarato il c. 198 dell'art. 1 della L. n. 228/2012, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato. Al riguardo, la Corte ritiene sufficiente dichiarare illegittimo solo il predetto comma “trattandosi della previsione normativa che regge quelle dei commi successivi, identificando i creditori cui esse si riferiscono”. In particolare, nella sentenza, la Consulta osserva che, “per i procedimenti di prevenzione iniziati successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011 la legittimazione ad avvalersi della speciale procedura incidentale di verifica è estesa a tutti i creditori (…) per i procedimenti pendenti (…) la legittimazione è circoscritta ai soli creditori ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione (…). Restano esclusi, in tal modo, dalla tutela i crediti dei prestatori di lavoro subordinato, che non siano ipotecari, pignoranti o intervenuti nell'esecuzione, ma comunque assistiti da privilegio generale sui beni mobili, ai sensi dell'art. 2751-bis, numero 1), cod. civ., e con diritto alla collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, ai sensi dell'art. 2776 cod. civ”. Ne consegue, precisa la Consulta, che detta disciplina contrasta con l'art. 36 della Costituzione in quanto idonea a ledere il diritto riconosciuto al lavoratore dal primo comma di quest'ultimo. Conclude la Consulta “stante il generale divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni confiscati, enunciato dall'art. 1, comma 194, della legge n. 228 del 2012, la misura patrimoniale rischia, infatti, di privare ex abrupto il lavoratore della possibilità di agire utilmente in executivis per il pagamento delle proprie spettanze. Ciò avviene segnatamente allorché la confisca renda i residui beni del debitore insufficienti a soddisfare le sue ragioni, e massimamente nell'ipotesi di confisca “totalizzante”, la quale investa, cioè – come nel caso oggetto del giudizio a quo – l'intero patrimonio del datore di lavoro (nella specie, una società di capitali nella quale erano stati convogliati i proventi dell'attività illecita). (…) La disciplina di cui ai commi 198 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012 assume, in effetti, una chiara valenza ad excludendum, rispetto a pagamenti da parte degli organi di gestione dei beni confiscati in favore di creditori diversi da quelli ivi considerati. Non è, infatti, pensabile che creditori particolarmente qualificati – quali, in specie, gli ipotecari, muniti di diritto reale di garanzia – possano conseguire il pagamento dei loro crediti solo alle rigorose condizioni, anche procedimentali, ed entro i limiti quantitativi stabiliti dalle predette disposizioni, mentre creditori di diverso tipo possano essere liberamente soddisfatti tramite i beni assoggettati al provvedimento ablativo”.

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