Nel silenzio della legge, prevenzione solo per eventi probabili
Il dipendente può rifiutarsi di svolgere la prestazione se il datore di lavoro omette di applicare le misure di sicurezza, ma deve provare la gravità e la rilevanza di questo inadempimento, qualora la violazione non riguardi precauzioni espressamente previste dalla legge e attenga agli obblighi generali fissati dall’articolo 2087 del codice civile. Con l’affermazione di questo principio la Corte di cassazione (sentenza 8911/2019) ha riaperto la controversia promossa da un macchinista licenziato per essersi ripetutamente rifiutato di condurre il treno senza la presenza in cabina di un secondo agente abilitato.
In primo grado il licenziamento è stato annullato in quanto, secondo il tribunale di Genova, l’azienda era risultata inadempiente rispetto alle obbligazioni di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori derivanti dall’articolo 2087 del codice civile. A fronte di tale inadempimento, il giudice di primo grado (con orientamento confermato in appello) ha configurato il rifiuto del lavoratore di svolgere la prestazione come una legittima eccezione di inadempimento.
La Cassazione ribalta questa impostazione. I giudici di legittimità ribadiscono la natura contrattuale della responsabilità che grava sull’azienda in tema di sicurezza sul lavoro; è fonte di obblighi positivi che impongono al datore di lavoro di attivarsi per predisporre un ambiente idoneo a tutelare la salute, con la conseguenza che è possibile per il dipendente rifiutare di svolgere l’attività quando non viene adempiuta l’obbligazione di sicurezza.
Tuttavia – prosegue la sentenza – la responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da configurarsi in senso oggettivo, essendo sempre necessario accertare un difetto di diligenza del datore stesso. Il lavoratore, infatti, può invocare l’inadempimento dell’obbligazione di sicurezza, ma ha l’onere di provare la responsabilità datoriale; tale onere si atteggia diversamente in relazione a misure previste espressamente dalla legge (“nominate”) oppure ricavabili in via interpretativa dal generale obbligo di sicurezza (“innominate”).
Per le misure nominate, il lavoratore ha solo l’onere di provare l’esistenza della violazione e il nesso di causalità con il danno alla salute. Nel caso delle misure innominate, invece, il datore di lavoro deve dimostrare di aver adottato misure di prevenzione coerenti con gli standard di sicurezza suggeriti dalle conoscenze tecniche e sperimentali esistenti. Per queste misure, prosegue la sentenza, non è possibile pretendere che il datore di lavoro rispetti ogni cautela possibile diretta a evitare qualsiasi danno: egli deve avere cura, invece, di adottare le misure che in concreto, rispetto alle mansioni svolte, appaiono idonee a evitare eventi prevedibili.
Inoltre, non basta l’accertamento di un inadempimento datoriale, essendo necessario – per giustificare il rifiuto di svolgere la prestazione – la proporzionalità della violazione. Nel caso del macchinista, la società ha dimostrato di aver applicato tutte le misure di sicurezza “nominate”; invece non è stata effettuata dalla Corte d’appello una corretta valutazione circa la gravità e la rilevanza dell’inadempimento delle misure innominate, con la conseguenza che la decisione viene annullata con rinvio ad altro collegio d’appello.