Contenzioso

Legittimo l’accertamento induttivo se c’è lavoro nero

di Elena Signorini

Con l’ordinanza 24250 del 2014 la Corte di cassazione precisa come non sia meritevole di censure il ragionamento logico seguito dai giudici d’appello della Commissione tributaria regionale di Napoli (nella sentenza 60/31/2014) per respingere il ricorso presentato dai contribuenti che si erano visti rideterminare il reddito attraverso il metodo induttivo per presenza di lavoratori in nero.

Cuore della questione portata all’attenzione della Suprema corte è proprio la legittimità dell’accertamento induttivo per la ricostruzione del reddito, allorquando il contribuente vanti alle proprie “dipendenze” lavoratori non risultanti dai libri contabili, circostanza da cui i giudici fanno derivare la totale inattendibilità della contabilità aziendale.

La pronunzia si pone nel solco di quanto già la Suprema corte aveva disposto nel 2012 con sentenza 5731 dell’11 aprile allorquando aveva precisato che “… in tema di accertamento delle imposte, l’articolo 39 del DPR n. 600 del 1973 fa salva la possibilità di desumere l’esistenza di attività non dichiarate, facendo ricorso a presunzioni semplici, assistite dalla connotazione civilistica di cui agli articoli 2727 – 2729 del codice civile. Ne consegue l’ammissibilità dell’accertamento induttivo del reddito, … qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con l'accertamento di “forza lavoro” non dichiarata”.

L’iter logico seguito dai giudici e qui contestato dai ricorrenti viene riconosciuto dalla Corte immune da vizi, tanto più che la circostanza dell’assunzione irregolare dei lavoratori, contestata in sede di accertamento, era stata considerata dal giudice di primo grado che, nel rettificare il reddito accertato, aveva espressamente considerato i costi dovuti all’autoconsumo “... operando una riduzione del 20% sull’accertato” (Commissione tributaria regionale di Napoli, sentenza 12 marzo 2012 numero 60/31/2012).

Il pagamento di lavoratori in nero è considerato indice di un maggior volume di affari dell’impresa (rispetto a quello ufficiale) e di conseguenza dell’esistenza di ricavi non contabilizzati, il cui importo viene determinato sulla scorta di parametri riferiti alla qualifica ed alle mansioni del lavoratore (Cassazione 2593/2011). Tali circostanze, confutabili dal contribuente tramite prova contraria, sono sufficienti per fondare quel ragionamento logico giuridico da cui scaturisce la rideterminazione del reddito tramite un accertamento induttivo come fatto appunto dai giudici di primo e secondo grado.

Altresì il percorso logico giuridico posto a base di tal accertamento non implica una duplice presunzione in quanto la presenza di un dipendente non risultante dai libri obbligatori, per il quale, per deduzione logica, sono stati elargiti emolumenti non contabilizzati, costituisce un fatto noto, dal quel si risale, in forza di una presunzione relativa, a un fatto ignorato, quale è quello della maggior redditività dell’impresa (e non semplicemente maggiori costi per retribuzioni, come aveva ad esempio prospettato il contribuente nel caso di cui a Cassazione, sezioni tributi, 3 febbraio 2593).

La controversia nasce da un accertamento tributario nel corso del quale gli accertatori ricostruivano il reddito di impresa dei ricorrenti con il metodo induttivo avendo accertato la presenza di lavoratori in nero, circostanza idonea a far ritenere complessivamente inattendibile la documentazione fiscale e a integrare la presunzione di maggiori ricavi e pertanto maggiori redditi non dichiarati.

L’avviso di accertamento che ne era scaturito veniva in seguito notificato alla Snc e ai suoi soci che lo impugnavano innanzi alla commissione tributaria provinciale di Napoli che operava una riduzione dell’accertato avendo tenuto conto dei costi dovuti all’autoconsumo, pur dichiarando fondati gli accertamenti effettuati.

Nel caso in esame si concretizzano gli estremi di cui alla lettera d) dell’articolo 39, comma 2, del Dpr 600/1973 secondo cui l’accertamento induttivo può esser effettuato quando le violazioni, le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate o le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse. L’iter procedurale proseguiva poi giungendo sino alla Suprema corte che rigetta l’impugnazione compensando le spese.

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