Anf, composizione del nucleo familiare e residenza nello Stato terzo di appartenenza
La vicenda affrontata dalla Corte di cassazione con le ordinanze nn. 9021 e 9022 del 1 aprile 2019, è sostanzialmente analoga e riguarda la situazione dei componenti del nucleo familiare di lavoratori stranieri occupati in Italia e titolari, in un caso (ord. n. 9022/2019) del permesso unico di lavoro ai sensi della Direttiva 2011/98/UE, nell'altro (ord. n. 9021/2019) dello status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della Direttiva 2003/109/CE.
Il problema si pone in entrambi i casi in quanto, nel periodo di riferimento, i componenti del nucleo familiare di entrambi i lavoratori risultano pacificamente residenti all'estero: la normativa italiana sull'assegno per il nucleo familiare (l. n. 153/1988), infatti, esclude dal nucleo familiare e dal computo dei componenti ai fini della prestazione, i familiari che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, fatti salvi i trattamenti di reciprocità o la presenza di specifiche convenzioni (art. 2, comma 6 bis). Sotto questo profilo, dunque, devono essere valutate le norme comunitarie che riguardano nello specifico i due lavoratori e che consentono la loro permanenza nel territorio italiano, in relazione ai profili di equiparazione con i lavoratori italiani e comunitari. In particolare, l'art. 12, par. 1 lettera e) della Direttiva 2011/98/UE, nella parte in cui afferma che i lavoratori dei paesi terzi titolari del permesso unico di lavoro beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne, tra le altre cose, i settori della sicurezza sociale definiti nel Regolamento CE n. 883/2004 (comprese le prestazioni familiari). E, allo stesso modo, la Direttiva del Consiglio 2003/109, all'art. 11, par. 1 lett. d) prevede per i soggiornanti di lungo periodo il diritto allo stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali e l'assistenza sociale ai sensi della legislazione nazionale (vedi anche, in senso più esteso, l'art. 9, 12 comma, del d.lgs. n. 286/1998 sulla condizione dello straniero e sull'immigrazione).
Sorge quindi, agli occhi della Corte, la necessità di verificare l'eventuale contrasto interpretativo di tali norme comunitarie con la norma italiana che esclude, come abbiamo visto, l'accesso alla prestazione nel caso di componenti del nucleo familiare non residenti nella Repubblica italiana.
Questo perché il nucleo familiare di cui all'art. 2 della legge n. 153/1988 non è solo la base di calcolo dell'importo ma anche il beneficiario della prestazione (l'ANF è un'integrazione economica in presenza di componenti del nucleo con redditi complessivi non superiori ad una certa soglia). Nella verifica dei dati necessari per inquadrare il problema, non deve peraltro essere trascurata la duplice natura dell'ANF. Da un lato l'evidente connotazione previdenziale (cfr. Cass. Sez. Unite n. 6179/2008), essendo la prestazione rivolta al lavoratore in ragione dei suoi carichi di famiglia, finanziata dai contributi versati da parte di tutti i datori di lavoro, ed erogata mediante il sistema dell'anticipazione e del conguaglio. Sotto diverso profilo, la valorizzazione dell'aspetto assistenziale (Cass. n. 13200/2003) in ragione del numero dei componenti del nucleo familiare, e del reddito prodotto. In questo senso, la prestazione, con vocazione tipicamente assistenziale, tutela maggiormente i soggetti colpiti da infermità o difetti fisici e mentali, oppure minori. Vi è quindi una compenetrazione tra le due finalità, che consente di inserire in modo abbastanza tranquillo questa prestazione all'interno della previsione contemplata dalle due norme comunitarie di riferimento, quanto alle forme di tutela e alle prestazioni che devono essere garantite allo stesso modo al lavoratore straniero.
Così ricomposto il quadro dei principi, emerge con maggiore chiarezza la necessità di chiarire in via interpretativa la questione della composizione del nucleo familiare nell'ipotesi in cui tutti o solo alcuni dei componenti, ad eccezione del titolare, lascino il territorio italiano e risiedano presso un diverso Stato terzo, proprio perché i componenti del nucleo familiare risultano, in definitiva, quali beneficiari sostanziali di una prestazione che ha diritto di ricevere il titolare della retribuzione o della pensione cui accede l'assegno. Occorre, in altre parole, stabilire se le due norme comunitarie siano ostative alla previsione di quella disposizione dell'ordinamento italiano che esclude dal computo i familiari del cittadino straniero (non appartenente all'UE) non effettivamente residenti nel territorio italiano. La precisazione è importante, in quanto la necessità di un intervento interpretativo nasce anche dal fatto che la giurisprudenza comunitaria fino ad oggi si è occupata della situazione di residenza in altri Stati membri o trasferiti in altri Stati però sempre all'interno dell'Unione Europea. Per questi motivi, con le ordinanze sopra indicate, la Sezione Lavoro ha chiesto formalmente alla Corte di Giustizia (ai sensi dell'art. 267 del Trattato) di pronunciarsi in via pregiudiziale ed interpretativa sul possibile contrasto tra il contenuto delle disposizioni comunitarie citate, alla luce del principio di parità di trattamento tra titolari dei permessi legittimanti la permanenza nel territorio italiano, e la legislazione nazionale in base alla quale, al contrario di quanto stabilito per i cittadini dello Stato membro, nel computo degli appartenenti al nucleo familiare, al fine del calcolo dell'ANF, devono essere esclusi i familiari del lavoratore titolare del permesso di lavoro o di soggiorno di lungo periodo ed appartenente ad uno Stato terzo, qualora gli stessi familiari risultino residenti presso il paese terzo d'origine.
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