Previdenza

Ingegnere part time soggetto al 4 per cento

di Matteo Prioschi

L’ingegnere che ha un impiego come dipendente ed è libero professionista part time non può iscriversi a Inarcassa ma è obbligato a destinarvi il contributo integrativo del 4 per cento. Con la sentenza 3913/2019 depositata ieri, la Corte di cassazione, così come avevano già fatto Tribunale e Corte d’appello, ha respinto le richieste di un ingegnere che ha chiesto di iscriversi alla cassa di previdenza di settore o, in alternativa, che gli vengano restituiti i contributi versati.

La questione sollevata dal professionista affronta da un punto di vista differente una vicenda che sta riguardando molti ingegneri e architetti: come lavoratori dipendenti hanno una posizione presso una forma di previdenza obbligatoria, per l’attività professionale devono pagare il contributo integrativo a Inarcassa e al contempo devono versare contributi alla gestione separata Inps. E infatti, per decidere sul ricorso, la Suprema corte si rifà alle recenti sentenze che hanno visto contrapposti ingegneri e Istituto nazionale di previdenza sociale. Nella pronuncia 30345/2017, ricordano i giudici, è stato ribadito che non si possono iscrivere a Inarcassa ingegneri e architetti che sono iscritti ad «altre forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attività esercitata», secondo quanto previsto inizialmente dalla legge 179/1958 e poi confermato nel tempo da altre norme e infine dallo statuto di Inarcassa.

La legge 335/1995, argomenta la Cassazione, creando la gestione separata Inps, ha esteso la copertura previdenziale nel senso che, a ciascuna attività svolta, deve corrispondere una forma di assicurazione. A sua volta l’articolo 18, comma 2, della legge 98/2011, sempre secondo la Suprema corte, ha chiarito che tale estensione può essere limitata solo da una contribuzione obbligatoria previdenziale già versata a un altro ente per l’attività svolta. Ma la contribuzione integrativa pagata a Inarcassa non determina una copertura assicurativa per vecchiaia, invalidità e superstiti e quindi non elimina l’obbligo di iscrizione alla gestione separata dell’Inps per l’attività libero professionale.

Il contributo integrativo, a sua volta, è una maggiorazione sul compenso, viene corrisposta dal cliente e «versata alla Cassa indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore, salva ripetizione nei confronti di quest’ultimo». Per tale natura ciò non comporta «alcuna duplicazione di contribuzione a carico del professionista, giacché il contributo integrativo è in realtà posto a carico di terzi estranei alla categoria professionale cui appartiene il professionista e di cui Inarcassa è ente esponenziale».

Dunque per la Cassazione il contributo integrativo non impedisce l’iscrizione alla gestione separata Inps perché non dà diritto a una pensione e peraltro non “costa” nulla al professionista che lo riversa sul cliente (benché quest’ultimo possa non pagarlo).

Infine, il contributo integrativo è compatibile con gli articoli 2 e 3 della Costituzione perché, come già sancito nella sentenza 108/1989 della Corte costituzionale, «trae idonea giustificazione dalla sola circostanza dell’iscrizione all’albo, la quale è libera e fonte, di per sé, di utilità almeno potenziali. Esso costituisce inoltre espressione del principio solidaristico che permea il sistema previdenziale, considerato che la sua istituzione si giustifica in relazione alla necessità di Inarcassa di disporre di un’ulteriore fonte di entrate con cui sopperire alle prestazioni cui è tenuta».

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