Contenzioso

La contribuzione di solidarietà è dovuta anche sulle pensioni integrative maturate, ma ancora non fruite

di Alessandro Brignone

La contribuzione di solidarietà sulle pensioni integrative dei dipendenti degli enti pubblici del cosiddetto parastato (indicati nella tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70, tra cui figura l'Inps) e degli enti privatizzati ai sensi del Dlgs 30 giugno 1994, n. 509, è dovuta dal lavoratore anche sui trattamenti maturati, sebbene non ancora goduti, e non solo su quelli corrisposti.
È questa la conclusione cui giunge la Suprema Corte di cassazione con la recente sentenza 22383/2014, in risposta al ricorso proposto dall'Inps avverso una pronuncia della Corte d'appello di Trento che, a sua volta, aveva contraddetto il giudice di prime cure, espressosi a favore della non obbligatorietà del contributo di solidarietà sopra indicato, stabilito dall'articolo 64, comma 5 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (il primo ricorso era stato proposto da un dipendente dell'Inps ancora in servizio).
In particolare, la corte trentina aveva ritenuto che il contributo di solidarietà in questione, nella misura del «2% sulle prestazioni integrative dell'assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi e la gestione speciale» (corsivo d.a.) – rispettivamente costituiti presso gli enti del parastato e presso la gestione speciale dell'Inps, soppressi, a mente del comma 2, articolo 64 citato, a favore delle nuove forme di previdenza complementare costituite e regolate nel rispetto dei criteri stabiliti dal richiamato Dlgs del 1994 – non fosse dovuto se non sulle prestazioni previdenziali integrative in corso di corresponsione.
Avverso la sentenza dei giudici dell'appello, l'Inps aveva proposto ricorso per Cassazione sostenendo che le «prestazioni integrative sulle quali deve gravare il previsto contributo di solidarietà devono intendersi sia le prestazioni (già) ‘erogate' agli ex dipendenti alla data» indicata dalla legge 144/1999, «sia gli importi di pensione integrativa ‘maturati' (…) dai dipendenti ancora in servizio o iscritti al Fondo a quella stessa data».
La Corte accoglie il ricorso dell'istituto previdenziale, rammentando come sulla questione – che ha generato negli anni un cospicuo filone giurisprudenziale – sia intervenuta una norma (articolo 18, comma 19, Dl 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in legge 15 luglio 2011, n. 111) dichiaratamente di interpretazione autentica dell'articolo 64, comma 5 della legge 144/1999, che ha stabilito che questa ultima disposizione deve interpretarsi “nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell'assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex-dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio. In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa».
La Cassazione, nella sentenza che qui si annota, rammenta anche come la richiamata norma di interpretazione autentica abbia superato le censure di costituzionalità subito proposte nei suoi confronti. La Consulta, con la recente sentenza 154/2014, ha infatti sottolineato come «l'espressione “prestazioni integrative maturate”», contenuta all'articolo 64, comma 5, citato, «può legittimamente essere letta, ai fini della imposizione del contributo di solidarietà, anche come alternativa a “prestazioni integrative erogate”», sulla base della presenza di una “o” disgiuntiva tra le due espressioni nonché sulla base della constatazione, rilevata dalla giurisprudenza di legittimità in più di una occasione (Cassazione 11092/2012; 11087/2012; 1497/2012; 237/2012; 22973/2011), secondo cui quando il legislatore ha voluto limitare l'imposizione contributiva ai trattamenti pensionistici in godimento ha, di solito, utilizzato il termine “corrisposti (equivalente di erogati)”, senza far riferimento, come nel caso di specie, a quelli solo “maturati”.
La pronuncia della Suprema Corte è ineccepibile sotto il profilo del diritto. Dubbie, invece, sono le motivazioni che essa aggiunge a sostegno della propria determinazione di accogliere il ricorso. Accanto, infatti, all'espresso riferimento all'esigenza di evitare lo “squilibrio finanziario nella gestione della previdenza complementare” (cui sono preordinati, occorre sottolinearlo, pressoché tutti i contributi di solidarietà), la Corte aggiunge che la disposizione di cui all'art. 64, comma 5, sarebbe preordinata al «ripristino dell'eguaglianza e della solidarietà (…) all'interno di un sistema nel quale l'incremento del “maturato per effetto della rivalutazione, sarebbe stato, altrimenti, conseguito dai dipendenti in servizio senza contribuzione alcuna”».
Ma la rivalutazione del trattamento pensionistico, quale che sia, trova la sua ratio nell'esigenza di tener conto della perdita del potere di acquisto, mentre la contribuzione di solidarietà, di solito, si giustifica, come pure la Corte ammette, su necessità di carattere finanziario. Tanto è vero che, nel passaggio sopra richiamato, la Corte non nega vi siano contributi di solidarietà il cui prelievo è disposto solo sui trattamenti corrisposti (o erogati).
Sarebbe stato preferibile, insomma, che la Corte avesse fondato la sua corretta decisione solo sul dato giuridico positivo, senza addentrarsi in (deboli) giustificazioni di ordine etico.

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