Adempimenti

L’Inail ricalcola le sanzioni sul lavoro sommerso

di Carmine Santoro

L’Inail, con la nota 5 dicembre 2014, dirama le prime istruzioni in merito alla sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 13 novembre 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della soglia minima di 3.000 euro della sanzione civile prevista dall'art. 36-bis, comma 7, lettera a), del D.L. n. 223/2006 convertito nella legge n. 248/2006.

Come rammenta l'Istituto, l'art. 36-bis cit. aveva modificato l'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12/2002 e la sanzione fissa minima di 3.000 euro è stata in vigore dal 12 agosto 2006 al 23 novembre 2010. Si deve tener presente che l'art. 4 della legge n. 183/2010 (“collegato lavoro”) aveva sostituito l'art. 3, comma 3 cit., stabilendo il diverso regime sanzionatorio, in vigore dal 24 novembre 2010, secondo cui, in caso di evasione di contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare l'importo delle sanzioni civili -calcolate nella misura prevista dall'art. 116, comma 8, lettera b) della legge n. 388/2000 - è aumentato del 50%, senza alcun importo aggiuntivo.

A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, dal 20 novembre 2014 l'art. 36-bis non è più in vigore; pertanto, da tale data non può più essere applicato il regime sanzionatorio che prevedeva la soglia minima di 3.000 euro della sanzione civile per ciascun lavoratore “sommerso”.

In virtù di quanto sopra, la nota precisa che la liquidazione dei verbali ispettivi, di cui al periodo tra il 12 agosto 2006 e il 23 novembre 2010, deve avvenire unicamente con l'applicazione del regime ordinario previsto dall'art. 116, comma 8, lettera b), della legge n. 388/2000. Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 36-bis, nei casi suddetti, trova infatti applicazione la normativa anteriore all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 223/2006.

L'Istituto precisa anche che la pacifica giurisprudenza ritiene che le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale abbiano effetto retroattivo; tuttavia, sussiste il limite delle situazioni giuridiche ormai esaurite per effetto di eventi quali sentenze passate in giudicato, diritti caduti in prescrizione o poteri per i quali si è avverata la decadenza.

Dunque, l'applicazione delle sanzioni civili secondo il regime ordinario di cui alla legge 388/2000 con conseguente annullamento del residuo importo, calcolato ai sensi dell'art. 36-bis, deve essere effettuato con riferimento ai soli rapporti giuridici non esauriti. Ciò significa che, ad es. relativamente ad una cartella esattoriale non tempestivamente impugnata, l'Istituto può tuttora procedere con esecuzione forzata anche sull'importo della sanzione civile di 3.000 euro; se tale importo è stato già incassato dall'ente, non potrà esserne richiesta la restituzione (cfr. Cass. 28 luglio 1997, n. 7075; v. anche lettera circolare del Ministero del lavoro del 10 luglio 2014, prot. 37/0012552).

Per tutti i casi di pendenza del contenzioso amministrativo e giudiziale, invece, le sedi dell'Istituto devono provvedere a ricalcolare la sanzione civile per evasione con il regime previsto dalla legge 388/2000 e rinunciare alla differenza.
Infine, la nota precisa che se il titolo sanzione civile è iscritto a ruolo occorre effettuare lo sgravio della quota parte di sanzione civile non dovuta e abbandonare l'importo “sgravato”.

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