Contenzioso

Limite al dumping salariale delle coop

di Giuseppe Bulgarini d'Elci


A prescindere dal contratto collettivo applicato dalla società, ai lavoratori di cooperative deve essere garantito un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi previsti, per analoghe prestazioni, dal Ccnl del settore o della categoria affine siglato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
La Cassazione è pervenuta a questa conclusione (sentenza 4951/2019) facendo riferimento al combinato disposto dell'articolo 3 della legge 142/2001 e dell'articolo 7 del Dl 248/2007, dai quali si desume, secondo la Suprema Corte, che:
-le società cooperative sono tenute ad applicare al socio lavoratore un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi previsti dal Ccnl del settore o della categoria in cui esse operano;
-in presenza di una pluralità di contratti collettivi riconducibili al medesimo settore o categoria, si deve fare applicazione, a questo fine, del Ccnl stipulato dalle associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In altri termini, ad avviso della Cassazione le società cooperative, fermo il principio di libertà sindacale, da cui discende quello di applicare il Ccnl da esse ritenuto più confacente, non possono derogare alle soglie retributive minime fissate nel contratto collettivo nazionale che, con riferimento al settore o alla categoria ad esse affine, è stato sottoscritto dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni datoriali comparativamente più rappresentative.
La Suprema corte applica questa regola con riferimento a una dipendente di cooperativa che ha chiesto le differenze retributive dovute in applicazione dei minimi tabellari del Ccnl Pulizie multiservizi, quale contratto collettivo che, al contempo, si applicava al settore in cui la stessa operava e risultava stipulato dalle sigle sindacali che, attraverso una selezione comparativa, risultavano essere quelle più rappresentative nel segmento produttivo di riferimento.
La Cassazione osserva che l'applicazione di questa regola non costituisce lesione del pluralismo sindacale, perché la scelta del legislatore di stabilire degli standard minimi inderogabili non impedisce alle società cooperative di individuare liberamente il contratto collettivo da applicare, ma si limita a restringerne gli spazi di operatività sul piano del trattamento retributivo minimo. Ciò, in una prospettiva di salvaguardia del principio costituzionale fissato nell'articolo 36 di una retribuzione sufficiente e proporzionata al lavoro prestato.
A questo proposito, la Cassazione rimarca che la finalità della disciplina di legge, a fronte di una variegata proliferazione di contratti collettivi nel mondo delle cooperative, risiede nel contrasto a forme di dumping salariale, che rende necessario affidarsi ai Ccnl stipulati dalle organizzazioni (datoriali e dei lavoratori) comparativamente più rappresentative quale criterio guida per la determinazione del trattamento retributivo minimo complessivamente dovuto ai lavoratori che operano tramite le società cooperative.

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