Previdenza

Restituzione parziale dei contributi per gli extracomunitari che lasciano l’Italia

di Silvano Imbriaci

Nell'ipotesi di cessazione del rapporto previdenziale in conseguenza dell'estinzione del rapporto di lavoro e rimpatrio definitivo del lavoratore extracomunitario, spetta in virtù di quanto previsto dall'articolo 22, comma 1 del Dlgs 286/1998, la liquidazione dei contributi versati, maggiorati del 5% annuo, limitatamente agli importi versati presso la gestione Ivs, con esclusione della contribuzione che riguarda titoli diversi, quali maternità, malattia, disoccupazione, assistenza sanitaria.

Non esiste infatti nel sistema delle assicurazioni sociali un principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati in relazione ai quali non si siano verificati né possano più verificarsi i presupposti per la maturazione del diritto a una prestazione previdenziale. E' questo la soluzione individuata dalla Cassazione con la sentenza 19469/2015, su una vicenda basata sull'applicazione dell'articolo 22, comma 11, del Dlgs 286/1998 (cosiddetto Turco-Napolitano), norma che consentiva ai lavoratori extracomunitari di ottenere la liquidazione della contribuzione versata sulla propria posizione assicurativa e non utilizzata per l'accesso a diverse prestazioni previdenziali (la possibilità di restituzione è stata poi eliminata in sede di riscrittura della norma da parte dell'articolo 18, comma 13 della legge 189/2002 – detta Bossi-Fini).

La controversia era nata sulla pretesa del lavoratore di vedersi riconosciuta la liquidazione della contribuzione in misura intera, e non solo in parte. I giudici di merito, infatti, avevano accolto la domanda limitando la restituzione alla contribuzione versata per l'assicurazione Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti), con esclusione della contribuzione cosiddetta minore (maternità, malattia, disoccupazione, Cuaf ecc..).

La pronuncia consente alla Corte di ribadire un principio cardine del sistema previdenziale, ossia l'intangibilità della contribuzione versata in modo legittimo, anche se questa non sia direttamente utilizzata o utilizzabile (in relazione alla sua “quantità”) per l'accesso a prestazioni a favore del lavoratore a cui si riferisce. Tale principio, in realtà, costituisce il corollario di un principio più generale a cui si ispira il sistema previdenziale, e il meccanismo attraverso cui si finanzia, ossia quello della solidarietà (si veda Corte Costituzionale 404/2000 e 438/2005), che impone di utilizzare la contribuzione versata per il pagamento delle prestazioni alla generalità degli assicurati.

La contribuzione rimane acquisita alla gestione di appartenenza, a condizione che sia regolarmente versata (sfugge, infatti, al divieto generale di restituzione, la fattispecie della contribuzione indebitamente versata e riscossa dall'ente, sia perché non dovuta per disposizione di legge, o comunque perché versata in eccesso - Cassazione 853/2009 -, o al limite perché prescritta) e che non sia utlizzabile.

La questione del divieto di restituzione riguarda infatti le ipotesi in cui il lavoratore non abbia già usufruito di una prestazione o la contribuzione in suo possesso non possa essere utilizzata ai fini dell'accesso ad una prestazione previdenziale. La restituzione è eventualmente ipotizzabile solo in presenza di contributi non utilizzati (o, al limite, silenti) e non già quando da essi possa conseguire una qualche prestazione, come nel caso in cui sia raggiunto il minimo assicurativo, oppure lo spezzone di contribuzione versato possa essere unito ad altri frammenti di vita contributiva (mediante l'istituto della totalizzazione) o ancora quando sia utilizzabile per una prestazione di tipo supplementare o per un supplemento di pensione (Cassazione 22747/2010).

Accanto a questi due requisiti, si possono aggiungere anche dei presupposti specifici, come ad esempio, nel caso dei lavoratori extracomunitari, l'assenza di trattati o convenzioni con il Paese di origine finalizzati all'utilizzazione di detta contribuzione per determinate prestazioni pensionistiche o la definitività della cessazione del rapporto (Cassazione 6340/2010). La possibilità di restituire la contribuzione ai lavoratori extracomuitari espatriati costituisce un'eccezione al principio, e per questo è circondata da cautele e limiti.

Sul punto la Cassazione 19649/2015 è molto chiara. Occorre abbandonare la visione assicurativa civilistica. Premesso che il versamento dei contributi non è finalizzato a una singola prestazione a favore del lavoratore cui si riferiscono, la restituzione della contribuzione deve essere inquadrata nell'ottica di una misura di sostegno, di un beneficio previdenziale a favore di determinati soggetti in particolari condizioni legittimanti. Non si tratta quindi di una vera e propria deroga al principio. E' piuttosto una forma di finanziamento, di agevolazione previdenziale economica, a favore di soggetti che altrimenti avrebbero maggiore difficoltà nell'accesso a prestazioni previste dalla legge. In questo senso la finalità della restituzione della contribuzione ai lavoratori extracomunitari espatriati costituisce una forma di agevolazione in vista della formazione di una posizione assicurativa o pensionistica nel paese di origine, in tutte le ipotesi in cui non vi sia la possibiltà di far valere la contribuzione versata nel territorio italiano in tali contesti.

In questo modo diventa comprensibile anche la limitazione della restituzione alla sola contribuzione versata per l'Ivs. Prima di tutto perché l'assenza dal territorio italiano e la cessazione dell'attività lavorativa impediscono di fatto che il lavoratore possa accedere ai benefici legati all'attività lavorativa (o alla sua dimensione di lavoratore attivo: malattia, maternità, disoccupazione, eccetera). Ma in secondo luogo e soprattutto perché il legislatore ha la possibilutà di regolare come meglio crede le modalità ed i requisiti per la restituzione, atteso che questa deve essere letta come una vera e propria prestazione previdenziale.

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