Contenzioso

Nei licenziamenti collettivi rileva la percentuale di lavoratrici coinvolte

di Angelina Turco

In caso di licenziamento collettivo è necessario il rispetto della percentuale di manodopera femminile sancita dall’articolo 5 della legge n. 223 del 1991, pena la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato. È il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza del 24 maggio 2019, n. 14254, che con l'occasione chiarisce il tenore e la portata della norma.
Giova riportare la lettera di quanto disposto dal comma 5 dell'art. 5, della legge n. 223 del 1991, e più in particolare il periodo aggiunto dall'art. 6, comma 5-bis, D.L. n. 148 del 1993 (L. n. 236 del 1993), ovvero: «L'impresa non può altresì licenziare una percentuale superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione». Il legislatore ha in questo modo introdotto, per la fase risolutiva del rapporto di lavoro, il divieto di "discriminazione indiretta", mutuandolo dalla L. n. 125 del 1991, sulle pari opportunità.
Ai fini del rispetto dell'obbligo, sancito dalla legge, di mantenimento dell'equilibrio proporzionale esistente tra lavoratori e lavoratrici nell'individuazione del personale licenziato, la Cassazione fornisce alcune importanti ed essenziali precisazioni.
In prima battuta nella sentenza in commento viene chiarito che il confronto va circoscritto all'ambito delle mansioni oggetto di riduzione, cioè all'ambito aziendale interessato dalla procedura, così da assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di occupazione femminile sul totale degli occupati.
Sotto un profilo più operativo ed aderente alla fattispecie esaminata dai Supremi Giudici, viene poi precisato che la norma non prevede una comparazione fra il numero di lavoratori dei due sessi prima e dopo il licenziamento, ma impone invece di verificare la percentuale di donne lavoratrici, e consente poi di mettere in mobilità un numero di dipendenti nel cui ambito la componente femminile non deve essere superiore alla percentuale precedentemente determinata. Nel caso concreto, ad esempio, risultavano impiegati 6 uomini e 3 donne nel reparto amministrazione; in tale reparto quindi la percentuale di manodopera femminile con mansioni impiegatizie era pari al 33,33%. Si era poi proceduto al licenziamento di 2 donne ed 1 uomo, concretizzando quindi una percentuale di donne licenziate pari al 66,66% violando in questo modo quanto previsto dall'art. 5, della legge n. 223 del 1991, rompendo l'equilibrio proporzionale esistente tra lavoratori e lavoratrici e configurando un comportamento discriminatorio.

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