Demansionamento, risarcibile anche il riscatto laurea
La Cassazione – con l'ordinanza n. 19923 del 23 luglio 2019 - torna a pronunciarsi in materia di risarcimento del danno da demansionamento.
Nel caso di specie un lavoratore, per porre fine alla situazione di degrado professionale alla quale il datore di lavoro lo aveva sottoposto, si determinava ad un pensionamento anticipato. Il giudice di prime cure gli riconosceva, a titolo di danno patrimoniale, una somma pari all'importo versato dallo stesso per il riscatto degli anni universitari oltre a una somma a titolo di danno non patrimoniale che la Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma, incrementava in via equitativa (da 10mila a 60mila euro).
Ricorreva in Cassazione il datore di lavoro articolando due motivi di ricorso con i quali eccepiva la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 del Codice di procedura civile e degli artioli 1218, 1223, 1226, 2103, 2087, 2697 e 2727 del Codice civile, avendo la corte territoriale riconosciuto, a titolo di danno patrimoniale, l'importo versato dal dipendente per il riscatto degli anni universitari ai fini del pensionamento anticipato. Secondo il datore tale importo non si configurava quale conseguenza diretta ed esclusiva dell'illegittima condotta datoriale, in quanto la scelta del pensionamento costituiva frutto di libera determinazione del dipendente che elideva il nesso eziologico tra la perdita patrimoniale e il comportamento aziendale. Con il secondo motivo censurava, tra l'altro, la duplicazione delle voci di danno non patrimoniale, laddove, accanto al danno all'immagine era stato riconosciuto anche il danno alla dignità professionale e alla sofferenza soggettiva dell'interessato, connessa all'emarginazione professionale e alla necessitata determinazione al pensionamento.
La Cassazione rigettava entrambi i motivi di ricorso, fondando innanzitutto il proprio convincimento sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in caso di demansionamento la quantificazione del danno può essere determinata in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. Nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto provata una diretta relazione tra la situazione di emarginazione professionale e la scelta del dipendente di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico; inoltre, non ha ravvisato la sussistenza di una “duplicazione” delle voci di danno, posto che la somma attribuita a titolo di danno non patrimoniale “copriva” sia il danno all'immagine, sia “la lesione della dignità personale e la frustrazione per la lenta e progressiva emarginazione”, pregiudizio, quest'ultimo, concettualmente distinto dal primo seppure a quello accomunato in quanto connesso con la lesione di diritti del lavoratore costituzionalmente tutelati.
Non è dato comprendere quale sia stata l'emarginazione e dequalificazione subita dal lavoratore: certo è che se è stata il frutto di una strategia specifica, non è stata davvero una scelta felice.