Contenzioso

Omessa formazione del dipendente: vale l’intervista dell’ispettore

di Angelina Turco

Ai fini della prova dell'omessa formazione del dipendente in nero vale l'intervista effettuata al lavoratore dall'ispettore del lavoro. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione, sez. III penale, con sentenza del 10 ottobre 2019, numero 41600.

Fulcro della sentenza è la questione dell'utilizzabilità o meno delle dichiarazioni rilasciate nel corso dell'istruttoria dibattimentale da un ispettore del lavoro che riferisca dichiarazioni rese da un lavoratore nel corso dell'accertamento ispettivo, senza che tali dichiarazioni siano state verbalizzate.

I fatti, a monte della decisione dei Supremi giudici, così come ricostruiti dal tribunale grazie alla deposizione dell'ispettore del lavoro sono i seguenti. Al momento del sopralluogo presso un ristorante era presenta una lavoratrice. L'ispettore, non limitandosi a una verifica formale, aveva operato una sorta di "intervista", o meglio dei quesiti esplorativi, alla lavoratrice, sulle conoscenze in suo possesso relative ai rischi per la salute e alla sicurezza sul lavoro, alle procedure di primo soccorso, alla lotta antincendio e all'evacuazione dei luoghi di lavoro, oltre che sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione e del medico competente.

A seguito di tale "intervista", durante la quale la lavoratrice aveva mostrato di non averne un'adeguata conoscenza, palesando incertezze su alcune domande esplorative, tipo quella sulla ubicazione degli estintori del locale ricettivo dove ella lavorava come cameriera, l'ispettore aveva concluso che la stessa, non solo sul piano formale, non era stata edotta delle informazioni previste dal Dlgs 81 del 2008.

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, afferma che il giudizio di responsabilità dell'imputato, escluso l'obbligo di verbalizzazione degli esiti scaturiti dall’intervista, è stato fondato non sulle dichiarazioni "de relato" dell'ispettore, ma su una deposizione il cui contenuto deriva da una percezione diretta del teste, ciò in sintonia con l'orientamento prevalente secondo cui «il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria non riguarda i dati di fatto direttamente percepiti dall'agente, tra i quali sono stati ricompresi anche gli stati emotivi delle persone osservate, per cui l'utilizzabilità della testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria deve ritenersi a maggior ragione riferita anche alle reazioni della lavoratrice rispetto alle sollecitazioni finalizzate a verificare, in assenza di riscontri documentali, la conoscenza da parte della stessa delle informazioni sulla sicurezza che avrebbe dovuto ricevere dal datore di lavoro» (Cassazione, seconda sezione pennale, 38149/2015).

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