Contenzioso

Applicazione limitata della tutela reale per i licenziamenti con giusta causa

di Enrico De Luca e Alessandra Zilla

Con l’ordinanza 11701/2020 del 17 giugno, la Cassazione ha fornito interessanti chiarimenti sull'ambito di applicazione del quarto comma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori che dispone la reintegrazione in servizio del dipendente illegittimamente licenziato ove venga accertata l'insussistenza del fatto contestato ovvero qualora la condotta rientri tra quelle punibili con una sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi.

Nel caso in esame il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa un dipendente assunto ante Job act con funzione di responsabile del servizio di contabilità per aver operato senza la necessaria diligenza nell'attività di contabilizzazione.

La Corte d'appello di Roma - pur accertando, da un lato, la sussistenza del fatto contestato ritenuto, tuttavia, non grave da giustificare il recesso e, dall'altro, l'assenza di specifiche condotte tipizzate nel contratto collettivo - confermava la pronuncia di primo grado, dichiarando l'illegittimità del licenziamento con condanna del datore alla reintegra in servizio del dipendente e alla corresponsione di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, secondo il quarto comma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

I giudici di merito avevano fondato il proprio convincimento sulla base di una norma di chiusura contenuta nel Ccnl che prevedeva l'irrogazione della sanzione conservativa per «quelle mancanze le quali, anche in considerazione delle circostanze speciali che le hanno accompagnate, non siano così gravi da rendere applicabile una maggiore punizione».

Sulla base di tale previsione contrattuale, la corte territoriale statuiva che la tutela reale non richiedeva che la norma collettiva prendesse in considerazione lo specifico comportamento del dipendente, risultando applicabile anche «laddove dovesse esistere una ben precisa fattispecie disciplinare, ancorché di carattere generale o "di chiusura" nella quale incasellare il comportamento contestato».

Con ricorso promosso avanti la Suprema corte, il datore di lavoro impugnava la pronuncia di merito, lamentando – tra l'altro – la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18, quarto comma dello statuto dei lavoratori, in quanto la condotta contestata al dipendente non risultava tipizzata nel contratto collettivo e, pertanto, non era espressamente previsto che la stessa dovesse essere punita con una mera sanzione conservativa.

La Cassazione, pur confermando l'illegittimità del licenziamento, nell'accogliere il motivo di ricorso di cui sopra, ha integralmente riformato le conclusioni cui erano giunti i giudici di merito, statuendo che – a seguito delle modifiche apportate dalla riforma Fornero alla norma statutaria - la tutela reale rappresenta un'eccezione alla regola generale costituita dalla tutela indennitaria.

Ebbene, proprio in relazione al principio generale secondo cui una norma che prevede un'eccezione deve essere interpretata restrittivamente, la Suprema corte ha precisato che il quarto comma trova applicazione nell'ipotesi in cui la fattispecie accertata sia specificamente contemplata dalle previsioni dei contratti collettivi o dai codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa.

Al di fuori di tale fattispecie, ove emergano profili di non proporzionalità tra condotta e sanzione che rendano illegittimo il licenziamento, occorrerà richiamare la tutela indennitaria "forte" per le "altre ipotesi".

La lettura che la Suprema corte ha fornito della norma statutaria risulta condivisibile e coerente con l'impianto sanzionatorio introdotto dalla novella del 2012: infatti, in base alla ratio della norma, la tutela reintegratoria presuppone «l'abuso consapevole del potere disciplinare, che implica, a sua volta, una sicura e chiaramente intellegibile coscienza preventiva da parte del datore di lavoro della illegittimità del provvedimento espulsivo».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©