Previdenza

Reddito di cittadinanza, sgravi alle aziende e incentivi al «tutor»

di Giorgio Pogliotti

Un reddito di cittadinanza che si sta orientando sempre più come strumento per formare giovani e meno giovani, che come misura anti povertà: nei piani del governo, è questa la chiave di volta per superare le resistenze nella maggioranza - la Lega che è contraria ad interventi assistenziali - e a livello comunitario. Il meccanismo d’integrazione al reddito fino a 780 euro mensili per un single che stipula un patto di servizio con il centro per l’impiego (con importo crescente in base ai componenti del nucleo familiare) coinvolge anche l’impresa. Vengono riconosciute fino a tre mensilità del sussidio - sotto forma di sgravio contributivo - all’azienda, a condizione che assuma il disoccupato dal centro per l’impiego (le mensilità diventano fino a 6 se è una donna). Il beneficio si estende anche all’autoimprenditorialità, in questo caso a vantaggio del disoccupato che si sia attivato presso un centro per l’impiego. Dove sarà centrale la figura del tutor, ribattezzato dal vicepremier Luigi Di Maio «navigator», che avrà il compito di prendere in carico il disoccupato per indicare i percorsi formativi - da svolgere nei centri per impiego, nei centri formazione o le Agenzie per il lavoro -, di attestare la sua partecipazione a lavori di pubblica utilità, ricevendo un bonus se lo farà assumere.

«Bene una rimodulazione del reddito di cittadinanza come sgravio alle imprese che assumono i beneficiari del sussidio - sostiene il presidente di 4.Manager Stefano Cuzzilla –. Se confermato, è un cambio di passo a favore delle politiche attive del lavoro, che auspichiamo siano ulteriormente incentivate».

La partenza il 1° aprile del reddito di cittadinanza, nelle stime del governo, produrrà 2,2 miliardi di risparmi sulla dote di 9 miliardi annui della manovra che prevede di reperire le risorse sottraendole dal fondo per la povertà che alimenta il Rei per 2,2 miliardi nel 2019 (2,1 miliardi nel 2020 e 2,1 miliardi nel 2021). Dei 9 miliardi, 7,1 miliardi vanno al reddito di cittadinanza, 900 milioni alla pensione di cittadinanza e 1 miliardo ai centri per l’impiego.

I propositi del governo, tuttavia, si scontrano con la situazione disastrosa di gran parte dei centri per l’impiego, che hanno dotazioni informatiche inadeguate, personale insufficiente e non formato per i nuovi compiti. Le banche dati dei diversi centri per l’impiego non dialogano tra loro, né con le altre amministrazioni (Inps, Agenzia delle Entrate, Camere di commercio), rendendo difficile conoscere il percorso formativo del disoccupato, ma anche l’offerta di posti di lavoro e i controlli. Per le Regioni - che hanno la competenza sui servizi per il lavoro - la tempistica fissata dal governo è troppo stringente per il rispetto degli impegni presi.

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