Rapporti di lavoro

Contratti impermeabili alla mobilità verso il basso

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Sono passati quasi due anni dall’introduzione delle nuove regole che definiscono e delimitano l’esercizio dei poteri del datore di lavoro in materia di attribuzione e di modifica delle mansioni dei dipendenti, ma la contrattazione collettiva non ha sin qui colto appieno e sfruttato le potenzialità della nuova normativa.

Vecchia e nuova norma

Innovando profondamente rispetto alla previgente disciplina, che consentiva l’esercizio dello jus variandi nell’ambito di mansioni professionali equivalenti, il nuovo articolo 2103, comma 1, del codice civile dilata l’ambito di intervento del datore di lavoro alle mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento.

Il cambiamento di prospettiva è stato, fin da subito, pressoché unanimemente riconosciuto come radicale, in quanto il legittimo esercizio di modificare in senso orizzontale le mansioni non è più ancorato a una verifica sul piano sostanziale tra la corrispondenza delle nuove attività assegnate al dipendente rispetto a quelle precedentemente svolte, né implica una stringente verifica di compatibilità sul piano tecnico, né richiede che le nuove funzioni aziendali consentano un complessivo arricchimento del bagaglio di competenze professionali maturate in costanza del rapporto di lavoro.

Tutti questi elementi costituivano, in passato, altrettanti paletti che un consolidato orientamento della giurisprudenza, interpretato in senso più o meno rigoroso secondo la sensibilità dei giudici, aveva trasferito nella disciplina dello jus variandi, rendendo più difficile poter intervenire sulle mansioni dei lavoratori.

Le possibili conseguenze

Per effetto della nuova disciplina, il controllo di legittimità avviene oggi sulla base di un dato formale, costituito dalla riconducibilità al medesimo livello di inquadramento delle nuove attività assegnate al dipendente. In altri termini, la verifica si sposta sulle astratte previsioni dei sistemi di classificazione adottati dai contratti collettivi. L’effetto dirompente del nuovo meccanismo è stato efficacemente riconosciuto da una pronuncia del tribunale di Roma (datata 30 settembre 2015), la quale ha concluso che, diversamente dal passato, non si deve «più accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente».

Altrettanto dirompente è la previsione dell’articolo 2103, comma 2, del codice civile, che scardina il precedente divieto di attribuzione di mansioni inferiori e autorizza la mobilità unilaterale verso il basso, consentendo al datore di lavoro, in presenza di una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del dipendente, di attribuirgli mansioni riconducibili al livello di inquadramento immediatamente inferiore, sempre nell’ambito della stessa categoria.

L’opzione inutilizzata

Il successivo comma 4 ha previsto, quindi, che ulteriori ipotesi di mobilità unilaterale verso il basso, nell’ambito del livello di inquadramento inferiore, possano essere introdotte dai contratti collettivi. Anche sotto questo profilo si deve registrare come il legislatore del Jobs act abbia affidato un ampio spazio di intervento, allo scopo non solo di porsi come la fonte principale da cui rinvenire il contenuto delle mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento, ma di regolamentare ad hoc la possibile assegnazione ai dipendenti di mansioni proprie del livello inferiore.

Il risultato non è stato sin qui centrato, perché le parti sociali (quantomeno sul piano nazionale) non sono pressoché intervenute con apposite previsioni, né sul sistema di classificazione del personale, rimasto ancorato alle vecchie dinamiche, né sulla possibilità di individuare ipotesi specifiche di affidamento di mansioni proprie del livello inferiore.

Al contrario, si devono segnalare isolati (sin qui) interventi della contrattazione nazionale volti a ridurre i maggiori spazi di autonomia che il nuovo articolo 2103 ha affidato alle imprese. Il contratto collettivo Fca del 7 luglio 2015, ad esempio, ha previsto che la mobilità verso il basso possa essere prevista solo in forza di un accordo tra le parti e, più in generale, che «resta fermo il principio giurisprudenziale della compatibilità professionale». Quel concetto di equivalenza che la riforma aveva espunto dal testo codicistico sembra, dunque, rivivere per intervento delle parti sociali.

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