Contenzioso

Il congedo straordinario pre maternità è compatibile con l’indennità giornaliera

di Silvano Imbriaci

L'articolo 24 del Dlgs 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della paternità e maternità) descrive le ipotesi di prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro.

Mentre il primo comma tratta della risoluzione del rapporto di lavoro durante i periodi di congedo di maternità, i commi 2 e 3 affrontano la diversa questione dell'assenza dal lavoro, senza retribuzione, all'inizio del periodo di congedo di maternità. In questo caso le lavoratrici gestanti sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità, purché tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di 60 giorni.

Il comma 3 contempla alcune deroghe ai fini del computo dei 60 giorni; non si tiene infatti conto, nel calcolo di questo termine:
- delle assenze dovute a malattia o a infortunio sul lavoro, purché siano accertate o riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali;
- del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità;
- del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento;
- del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale

La questione portata all'attenzione della Corte costituzionale, sentenza 13 luglio 2018 numero 158, riguarda la legittimità di questa norma nella parte in cui non prevede l'erogazione del trattamento anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo previsto dall’articolo 42, comma 5, dello stesso testo unico (assistenza del coniuge o del figlio gravemente disabile). I casi concreti portati all'attenzione della Corte sono due: quello di una lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno del congedo retribuito per l'assistenza del coniuge gravemente disabile e interdetta in anticipo dal lavoro a causa di gravi complicanze nella gestazione (tribunale di Torino, ordinanza 130/2017); l'altro, quello di una lavoratrice che abbia iniziato una nuova gravidanza già in congedo straordinario per l'assistenza di un figlio in condizione di disabilità grave (tribunale di Trento, ordinanza 47/2017).

In entrambi i casi, in assenza di previsione di deroga espressa, il precetto dell'articolo 24 impedisce a queste lavoratrici l'accesso all'indennità di maternità, in ragione dello stato di assenza dal lavoro per un periodo superiore ai 60 giorni, rispetto all'inizio del congedo di maternità (manca ripresa dell'attività lavorativa). Si chiede dunque alla Corte, con una sentenza in forma additiva, di ampliare il catalogo delle deroghe del rispetto del termine massimo di 60 giorni dall'assenza dal lavoro all'inizio del congedo, portando ad una neutralizzazione del periodo di assenza per congedo straordinario retribuito anche in relazione alla specifica ipotesi dell'assistenza del coniuge gravemente disabile.

La questione di costituzionalità
Così ricostruiti i termini della questione, si riesce a cogliere con maggiore immediatezza la scelta effettuata dalla Corte costituzionale. Ad assetto normativo invariato, la Corte è portata a valutare l'impedimento rappresentato dalla lavoratrice, e in particolare la sua giustificazione alla luce della tutela dei principi e dei valori costituzionali in punto di tutela della maternità, della salute e dei soggetti svantaggiati, oltre che naturalmente del diritto al lavoro. Con le possibile conseguenze in punto anche di legittimità sotto il profilo dell'uguaglianza sostanziale, dovendosi giustificare il trattamento diverso e deteriore riservato alle lavoratrici in maternità che abbiano la necessità di assistere il coniuge disabile rispetto a quelle assenti dal lavoro per gli altri motivi indicati nel medesimo articolo 24.

Sotto questo profilo, è proprio la tassatività delle ipotesi derogatrici ad aver imposto l'intervento della Corte costituzionale, essendo preclusa la possibilità di interpretazioni della norma in senso estensivo, ossia contemplando anche l'ipotesi specifica dell'assenza dal lavoro per il contemporaneo godimento del congedo per l'assistenza del coniuge o del figlio disabile. Senza contare i principi consolidati nella normativa sovranazionale, laddove il divieto di discriminazione con riferimento all'accesso ai congedi di maternità retribuiti e alle prestazioni sociali in caso di maternità costituisce un principio ormai consolidato (si vedano gli articoli 20, 21, 23, 33 e 34 Cdfue), così come il divieto di discriminazione di fronte alla tutela di diritti per effetto di una situazione di handicap che riguarda non solo e ovviamente il suo titolare ma anche chi ne presta cura e assistenza.

Prima di verificare la soluzione adottata dalla Corte, è opportuno ricordare che l'articolo 24 del Dlgs 151/2001 è già stato sottoposto ad esame da parte della giurisprudenza della Cassazione, sotto il profilo delle ipotesi derogatorie al conteggio del periodo massimo di assenza dal lavoro. In particolare Cassazione 7675/2017 ha precisato che l'espressione “assenti dal lavoro senza retribuzione”, quale situazione comunque legittimante il trattamento di maternità, purché non troppo lontano nel tempo rispetto all'inizio del periodo di astensione, deve intendersi nel senso che la lavoratrice non ha diritto alla retribuzione in dipendenza dell'assenza, e non già quale mero fatto da cui deriva l'esclusione del beneficio (alla base, la situazione di mancanza di diritto alla retribuzione in dipendenza dell'assenza deve essere accertata in maniera definitiva).

Allo stesso modo, sempre quella giurisprudenza afferma che le ipotesi di deroga al termine di 60 giorni (o meglio le ipotesi di assenza delle quali non si tiene conto nel conteggio di detto termine), indicate dal comma 3 dell'articolo 24, e nelle quali non ha alcun rilievo la mancanza di retribuzione, hanno carattere limitato e tassativo. Ciò in quanto l'indennità di maternità deve collegarsi all'esistenza di un rapporto di lavoro; come anche era disposto dall'articolo 17 della legge 1204/1971, l'indennità non spetta alla gestante che non abbia mai svolto attività lavorativa, oppure che l'abbia svolta in epoca anteriore a quella prefissata dall'articolo 17.

Di tale meccanismo di tutela in realtà la stessa Corte costituzionale si era già occupata (sentenza 106/1980), dichiarandolo sostanzialmente legittimo anche nella parte in cui l'impianto normativo non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, ai fini del godimento dell'indennità di maternità, i casi di assenza dal lavoro a titolo di aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione, ove siano giustificati da motivi di famiglia o da altra ragione personale. Tutto questo per dire che la soluzione della Corte, nonostante le apparenze, non poteva dirsi del tutto scontata, anche alla luce dei precedenti specifici cui si è accennato.

La soluzione della Corte costituzionale
Il punto di partenza, che condiziona la decisione 158/2018, è individuato dalla Corte proprio nella tutela della maternità e della libera scelta da parte della lavoratrice di affrontare una gravidanza, e soprattutto di quando farlo, indipendentemente dalle condizioni esterne che riguardano l'attività lavorativa o ne siano in qualche modo collegate. Nel caso di una lavoratrice che si dedica all'assistenza del coniuge o di un figlio disabile, occorre verificare quali sono le condizioni che legittimamente possono impedire l'accesso al trattamento di maternità senza confliggere con i principi di tutela garantiti dalla Costituzione, non solo per la maternità in sé, ma anche per il diritto del disabile ad ottenere tutela all'interno del nucleo familiare.

Posto che la maternità, come si è detto, è strettamente legata all'attività lavorativa, la tutela si estende a quelle ipotesi in cui la lavoratrice sia in qualche modo ancora inserita, per usare le parole della Corte, nel circuito del lavoro al momento della necessità di assentarsi dal lavoro per la maternità. Già la Corte costituzionale, oltre alle ipotesi indicate dalla legge in cui questo collegamento era ritenuto presente anche in assenza di svolgimento dell'attività lavorativa, aveva individuato alcuni casi in cui le esigenze di tutela fossero preminenti, come nel caso di assenza dovuta ad una precedente maternità (si veda Corte costituzionale 106/1980) o di assenza dovuta per la cura di un minore affidato in preadozione (Corte costituzionale 332/1998). Ebbene la Corte, nel 2018 segue questa strada in modo ancora più deciso.

L'esclusione del congedo straordinario per la tutela e cura del coniuge o del figlio disabile tra le ipotesi derogatorie appare del tutto ingiustificata e irragionevole, a fronte delle ipotesi che comunque consentono di superare il limite dei sessanta giorni in ragione della tutela della maternità (precedente gravidanza o affidamento). In altre parole, le esigenze connesse alla tutela della grave disabilità necessitano dello stesso livello di protezione di quelle. L'assenza per l'assistenza in congedo straordinario del familiare gravemente disabile non può essere in nessun modo equiparata a quei motivi personali e di famiglia che già la Corte costituzionale, come abbiamo visto, aveva ritenuto non poter costituire valido elemento giustificativo ad un ampliamento del catalogo delle deroghe al limite temporale dei sessanta giorni.

Il congedo straordinario previsto dall'articolo 42 del Dlgs 151/2001 è ben altra cosa; è una situazione di assenza espressamente regolata dalla legge, ed è legata a presupposti oggettivi e temporali rigorosi, anche se oggetto di un costante allargamento, quanto agli ambiti di applicazione e ai beneficiari, da parte della stessa giurisprudenza della Corte costituzionale. La situazione della madre che si sia fatta carico anche della assistenza del figlio o del coniuge disabile non può in alcun modo pregiudicare la sua scelta di maternità, cosa che invece accade interpretando alla lettera la normativa che consente un periodo di assenza dal lavoro non superiore ai sessanta giorni. Tale impianto normativo impone un sacrificio ingiusto dell'una o dell'altra tutela e questo lo rende non rispettoso dei principi espressi dalla Costituzione.

Le parole più interessanti e dense di prospettiva la Corte le riserva poi nella parte finale della sentenza, ricostruendo le due forme di tutela (per la maternità e per i soggetti disabili) non come contrapposte, ma come unitariamente finalizzate, ognuna nel suo campo di rispettiva competenza, a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (articolo 3 II comma C.). È qui che davvero la Corte realizza il suo ruolo di impulso e di stimolo, anche per il legislatore futuro, a percorrere i binari di una integrazione delle tutele, rapportando e unificando i diversi valori espressi dalle norme costituzionali verso una comune direzione, quella cioè della tutela della persona umana in quanto tale, in tutte le sue forme e manifestazioni. Di fronte a queste esigenze, l'impedimento formale del testo legislativo appare poca cosa e deve essere superato mediante l'estensione della deroga sancita dall'articolo 24, III comma, anche alle ipotesi in cui l'assenza dal lavoro sia determinata da vincoli di solidarietà connessi alla cura del coniuge o del figlio disabile con handicap in situazione di gravità accertata.

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