Contenzioso

Agenti, nell’indennità di cessazione non rientrano le provvigioni della rete

di Franco Toffoletto

Le provvigioni maturate da un «agente generale» o «agente coordinatore», ovvero quelle che questi percepisca sulla base delle provvigioni maturate dalla rete vendita da lui coordinata, non concorrono nella determinazione dell'indennità di scioglimento del contratto. È questo l'importante principio enunciato da una recente decisione della Corte di cassazione (sentenza del 15 ottobre 2018, n. 25740) secondo cui ai fini del riconoscimento dell'indennità di cessazione del rapporto ex articolo 1751 del Codice civile non si deve tenere conto delle provvigioni percepite a compenso dell'attività di coordinamento di un gruppo di agenti, in quanto corrisposte per affari non direttamente e personalmente procurati dall'agente, ma da altri soggetti che a lui fanno capo.

La norma del Codice civile riconosce all'agente, in taluni casi, un'indennità che va determinata soltanto se e in quanto egli abbia procurato nuovi clienti al preponente (o abbia sviluppato gli affari con clienti esistenti in modo rilevante, quasi fossero nuovi) e tali nuovi clienti (o quelli sviluppati) continuino a fare affari con il preponente dopo la cessazione del rapporto assicurandogli sostanziali vantaggi economici che permangano nel tempo. Elementi, conferma ancora la decisione in esame, che vanno valutati cumulativamente e non alternativamente, sicché senza la loro sussistenza nulla potrà essere riconosciuto all'agente. La Corte suprema conferma, come già in numerose precedenti decisioni recenti, che tale norma è l'espressione della volontà del legislatore di premiare l'attività direttamente riconducibile all'agente che abbia creato un valore stabile per il preponente che permanga nel futuro, cioè nel tempo successivo alla cessazione del rapporto, riconnettendosi a tale attività «un particolare ed evidente interesse del soggetto preponente e un gravoso impegno personale dell'agente» che giustifica il trattamento economico in questione.

La determinazione dell'indennità deve avvenire soltanto con riferimento a tale valore, come testualmente afferma la norma, e non all'intero ammontare delle provvigioni corrisposte durante il rapporto, come invece stabiliva lo stesso articolo 1751 del Codice nel testo abrogato nel 1991 e poi corretto (anche se non ancora in modo fedele rispetto alla direttiva) nel 1999. «Ne consegue – afferma la Corte - che restano esclusi dal perimetro applicativo dell'articolo 1751, secondo la piana lettura che di esso impongono i plurimi e diffusi riferimenti ai clienti e all'attività incentrata sugli stessi, compiti e funzioni che, pur rilevanti sul piano organizzativo, si pongono come strumentali e accessori a tale centrale attività».

Conseguentemente, la circostanza, che l'agente abbia coordinato fino alla cessazione del rapporto, una rete di agenti con un cospicuo portafoglio, rimasto nella disponibilità della preponente, anche dopo la risoluzione del rapporto, resta escluso dall'indennità in quanto qualora questa sia pagata non solo agli agenti che hanno direttamente procurato e gestito i clienti ma anche a chi abbia svolto l'attività di coordinamento dei primi, significherebbe corrispondere due volte il prezzo per la medesima utilità.

Risulta, quindi, sempre più evidente come i criteri di determinazione dell'indennità ex articolo 1751 del Codice civile, sui quali si sofferma la Corte nel caso in esame, siano completamente diversi da quelli contenuti negli attuali accordi economici collettivi ancora fondati su principî abrogati quasi trent'anni fa e considerati in contrasto con la direttiva comunitaria da numerose sentenze della Corte di giustizia Ue a partire da Honyvem c. De Zotti del 23 marzo 2006.

Dopo questa decisione sostenere ancora la validità delle clausole contrattuali collettive è , a parere di chi scrive, un esercizio giuridicamente impossibile.

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