Licenziamenti, nel pubblico impiego tetto all’indennità
Il decreto legislativo sul pubblico impiego approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri (si veda «Il Sole 24 Ore» del 20 maggio) modifica in maniera rilevante il regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti ingiustificati: secondo la nuova disciplina, per questi recessi si applica la reintegrazione sul posto di lavoro, ma il risarcimento del danno che spetta in aggiunta alla riammissione in servizio è soggetto a un tetto massimo di 24 mensilità.
Questa soluzione ha un duplice effetto: da un lato mette fine a un problema molto dibattuto (quali sanzioni si applicano ai licenziamenti dei dipendenti pubblici), ma dall’altro lato introduce nell’ordinamento l’ennesimo regime speciale in tema di licenziamenti.
La questione interpretativa riguarda l’individuazione del regime sanzionatorio applicabile al licenziamento dei pubblici dipendenti. Secondo alcune sentenze di merito, sarebbero pienamente applicabili anche al lavoro pubblico le regole introdotte per i dipendenti privati nel 2012 dalla legge Fornero, nella parte in cui ha limitato la reintegrazione come misura sanzionatoria tipica, ampliando i casi di applicazione della sola tutela risarcitoria .
Secondo una diversa ricostruzione, avallata da alcune pronunce della Corte di cassazione (sentenze 11868 e 20056 del 2016), la riforma Fornero non sarebbe applicabile ai licenziamenti intimati verso i dipendenti pubblici, con la conseguenza che per questi lavoratori, in caso di recesso ingiustificato, sarebbe ancora applicabile la versione originaria dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quella, per intenderci, che sanzionava qualsiasi vizio del recesso con la reintegrazione sul posto di lavoro e il risarcimento pieno del danno).
L’articolo 21 del nuovo decreto legislativo sembra voler fare una sintesi tra queste due opzioni interpretative. La norma, infatti, mantiene la centralità della reintegrazione sul posto di lavoro, che resta l’unica sanzione applicabile nei casi di licenziamento invalido, secondo la vecchia versione dell’articolo 18.
Tuttavia, adottando una tecnica propria della legge Fornero, il nuovo decreto introduce un tetto massimo al risarcimento spettante al dipendente reintegrato, che deve essere pari alle retribuzioni perse dalla data di licenziamento a quella di ripresa del servizio, entro il tetto massimo di 24 mensilità. L’importo si calcola usando come parametro la retribuzione utile ai fini del Tfr, e dalla somma va detratto l’aliunde perceptum; il pagamento del risarcimento, inoltre, deve essere accompagnato dal versamento dei contributi previdenziali.
Questo intervento rimuoverà le incertezze future, ma non risolve la questione per il passato, in quanto non ha portata retroattiva. Di conseguenza, il contrasto interpretativo resta aperto per il periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge Fornero (luglio 2012) e la data di efficacia della nuova disciplina.
La nuova regola risolve un contrasto interpretativo ma non può certamente essere considerata come una misura di semplificazione, considerato che accresce ulteriormente l’elenco, già molto esteso, di regimi applicabili ai casi di licenziamento.
Nel settore privato, infatti, già esistono molti regimi sanzionatori cuciti su misura di situazioni diverse: quello previsto dall’articolo 18, nella versione modificata dalla legge Fornero, ancora valido per tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato presso imprese con più di 15 dipendenti prima del 7 marzo 2015. Inoltre, per lo stesso periodo di tempo si applica il regime di tutela obbligatoria nei confronti dei lavoratori assunti presso piccole imprese.
Per chi è stato assunto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi, invece, si applicano le “tutele crescenti” (con importi che cambiano in funzione delle dimensioni dell’impresa). Per finire, esiste un regime sanzionatorio ad hoc per i dirigenti, che cambia nei casi di recesso individuale e di recesso collettivo.
I regimi applicabili cambiano ancora se ci spostiamo nel pubblico impiego, dove abbiamo un regime applicabile per il periodo 2012-2017 (quello ricostruito in via giurisprudenziale) e un nuovo regime che si applicherà dalla data di pubblicazione in «Gazzetta ufficiale» del decreto legislativo Madia.
Un labirinto di regole, approvate in momenti diversi e improntate a filosofie molto spesso divergenti o contrapposte, che rende la materia dei licenziamenti ancora troppo complessa, nonostante gli indubbi passi in avanti compiuti con i correttivi introdotti dal Jobs act.
Il Collegato lavoro in attesa dell’approvazione in Senato
di Andrea Musti, Jacopomaria Nannini