Contenzioso

La rinuncia al comporto va provata dal lavoratore

di Angelo Zambelli

Con la sentenza n. 16392, deposita il 4 luglio 2017, la Cassazione compone un contrasto formatosi nella giurisprudenza di legittimità sul licenziamento per superamento del periodo di comporto e, in particolare, circa la possibilità che il datore riammetta in servizio il lavoratore che ha superato il comporto, per poi licenziarlo trascorso un certo lasso di tempo.

Sul punto appare consolidato il principio per cui, «fermo restando il potere datoriale di recedere non appena terminato il periodo suddetto, e quindi anche prima del rientro del prestatore, nondimeno il datore di lavoro ha altresì la facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all’interno dell'assetto organizzativo, se del caso mutato, dell’azienda»(Cassazione 18411 e 6697 del 2016; 24899 del 2011).

Ciò significa che l’interesse del lavoratore alla certezza della continuità contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi da riconoscersi al datore perché possa valutare la convenienza e utilità della prosecuzione del rapporto in relazione alle esigenze aziendali (Cassazione. 7037 del 2011). In sostanza, è necessario accertare se la prolungata inerzia del datore di lavoro sia sintomatica o meno della volontà di rinunciare al licenziamento, così ingenerando un corrispondente affidamento del dipendente alla prosecuzione del rapporto (Cassazione n. 19400/14; 24899/11).

Sennonché il divergere delle opinioni giurisprudenziali si manifesta in ordine all’onere probatorio circa la volontà di rinunciare al recesso. Un primo orientamento, infatti, lo ritiene gravante sul lavoratore tout court (Cassazione 6697/16; 19400/14), mentre una diversa ricostruzione distingue a seconda del tempo trascorso tra la maturazione del comporto e l’intimazione del recesso, facendolo gravare sul lavoratore nel caso di licenziamento dopo pochi giorni dalla riammissione in servizio, e sul datore di lavoro in caso di licenziamento irrogato dopo un apprezzabile intervallo di tempo (Cassazione 16462/15; 9032/00).

La sentenza rileva correttamente come il contrasto tra le due opinioni sia solo apparente, nel senso che dall’applicazione dei criteri generali sul riparto dell’onere della prova (articolo 2697 del Codice civile) discende che spetta al datore provare il superamento del comporto in quanto fatto costitutivo del licenziamento, mentre è onere del lavoratore dimostrare la tacita rinuncia a tale facoltà in quanto fatto estintivo del potere di recesso. E tale prova potrà essere offerta dal dipendente allegando, oltre al lasso temporale intercorso, anche una serie di altri elementi quali, ad esempio, il possesso da parte del datore di tutti i dati documentali necessari per il computo delle assenze, il tipo e le dimensioni della struttura aziendale, ecc..

Non va poi dimenticato che l’obbligo di intimare il licenziamento entro un termine ragionevole dalla ripresa dell’attività lavorativa deriva anche dal rispetto dei princìpi di correttezza e buona fede: pertanto, nel caso in cui il tempo trascorso sia stato considerevole e il lavoratore lamenti la violazione di tali princìpi, sorgerà per il datore l’onere di provare che l’impossibilità di intimare prima il licenziamento sia derivata da una causa a lui non imputabile .

La sentenza n. 16392 della Corte di cassazione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©