Contenzioso

Sì alla videosorveglianza solo se rispetta la vita privata

di Marina Castellaneta

Il diritto al rispetto della vita privata include anche le attività professionali svolte in un contesto pubblico. Di conseguenza è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’installazione di sistemi di videosorveglianza non limitata a obiettivi previsti dalla legge.

È la Corte di Strasburgo, con la sentenza Antoviće Mirković contro Montenegro depositata ieri, a intervenire per individuare il punto di equilibrio tra tutela della privacy ed esigenze del datore di lavoro. E la Corte dei diritti dell’uomo lo ha fatto rafforzando la tutela del diritto alla vita privata, esteso anche in luoghi pubblici come le aule universitarie.

A rivolgersi a Strasburgo sono stati due docenti che hanno contestato l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza collocati nell’auditorium dell’università dove i docenti svolgevano lezione. Il preside del dipartimento di matematica dell’università del Montenegro aveva avvisato i professori dell’installazione dei sistemi di sorveglianza necessari per garantire la sicurezza degli edifici e degli studenti e anche per sorvegliare l’insegnamento.

Una violazione della privacy non giustificata, per i docenti: nessuna esigenza di tutela della proprietà visto che l’auditorium era chiuso prima e dopo la lezione e che all’interno vi erano solo sedie fisse e una lavagna. Il consiglio dell’Agenzia nazionale per la protezione dei dati personali aveva ordinato la rimozione delle videocamere. La controversia, però, è proseguita dinanzi al giudice civile che ha respinto l’azione di risarcimento dei due docenti. Di qui il ricorso a Strasburgo, che invece ha condiviso la posizione dei ricorrenti.

Prima di tutto, la Corte ha chiarito che il diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 8 della Convenzione include anche le attività professionali. Sbagliata, quindi, la decisione dei giudici nazionali che hanno escluso l’ingerenza nella vita privata dei ricorrenti per il solo fatto che l’attività era svolta in un luogo pubblico di lavoro come le aule universitarie. Per quanto riguarda la possibilità di porre limitazioni al diritto alla vita privata, la Corte riconosce che l’articolo 8 della Convenzione consente alcune restrizioni, ma solo se previste dalla legge e necessarie in una società democratica.

È vero – osserva Strasburgo - che le esigenze di sicurezza degli edifici e delle persone erano previste dalla legge, con la conseguenza che le videocamere potevano essere ammesse per raggiungere questi obiettivi, ma la previsione di videocamere per sorvegliare l’insegnamento non lo era. Non solo. Il governo non ha dimostrato che sussistevano rischi e motivi indicati nella legislazione interna e, quindi, per la Corte vi è stata una violazione dell’articolo 8.

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