Contenzioso

Il nuovo corso della Cassazione sulla responsabilità dell’Inps per erronee comunicazioni

di Silvano Imbriaci

L'articolo 54 della legge n. 88/1989 (Accesso dei cittadini ai dati personali, previdenziali e pensionistici) obbliga gli enti previdenziali a comunicare, su richiesta esclusiva dell'interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica.

La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta. La giurisprudenza della Cassazione, soprattutto negli ultimi tempi, ha iniziato a seguire un orientamento sempre più distante dal rigore delle precedenti interpretazioni relative all'ambito di applicazione di questa norma, ponendo maggiormente in rilievo i principi di buona fede e di tutela dell'affidamento del cittadino rispetto ad una interpretazione formale e chiusa basata sul significato letterale della disposizione sopra indicata.

In una recente sentenza del 2017 (n. 23050), già la Cassazione aveva espressamente applicato la tutela risarcitoria anche al di là dell'ipotesi tipica fondata sulla richiesta formale di dati riguardanti la posizione contributiva a fini pensionistici, fondando un generale obbligo a carico dell'ente di comunicare in modo esatto i dati delle posizioni previdenziali e pensionistiche anche in assenza di un formale procedimento attivato dalla parte privata.

La sentenza della Sezione lavoro n. 20086 del 30 luglio 2018, in commento, si pone nel solco di questo orientamento, allargandone, se possibile, i confini. La vicenda nasce dall'accoglimento, da parte dell'Inps, di due domande di costituzione di rendita vitalizia presentate da un lavoratore dipendente, cui però erano seguiti altrettanti provvedimenti di annullamento d'ufficio, intervenuti però dopo che il dipendente si era dimesso dal proprio rapporto di lavoro per accedere al Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito. Seguendo l'interpretazione restrittiva suggerita dall'Inps, il giudice di merito aveva ritenuto tale ipotesi estranea alla disciplina contenuta nell'articolo 54 citato, limitata all'instaurazione di un procedimento (richiesta del contribuente e comunicazione avente valore certificativo). Secondo la Cassazione assume invece una decisiva rilevanza il fatto che l'Inps non solo avesse accolto le domande di costituzione di rendita vitalizia, ma anche l'indicazione esplicita del conseguente e successivo accredito sulla posizione contributiva dell'istante dei periodi contributivi interessati. Ciò determinando un più che fondato affidamento in capo al richiedente sulla consistenza della propria posizione assicurativa, come consolidata dopo tali procedure di accredito. La responsabilità dell'Istituto, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza seguita dalla Corte, riguarda non solo gli atti certificativi della posizione contributiva, ma anche i provvedimenti che abbiano natura diversa e che comunque siano in grado di ingenerare un affidamento incolpevole sulla loro veridicità e sul loro contenuto. Proprio la natura contrattuale, ormai pacificamente riconosciuta, della responsabilità che lega l'ente previdenziale al cittadino consente di valutare in termini di obbligazione legale il rapporto intercorrente tra le parti, con applicazione dell'articolo 1218 del Codice civile: chi agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno conseguente all'inadempimento dell'obbligazione ha l'onere di provare solamente la fonte del proprio diritto, la circostanza dell'avvenuto inadempimento o inesatto adempimento, nonché il danno subito, lasciando invece al convenuto l'onere della prova relativa all'avvenuto adempimento o all'esatto adempimento. Tale prova, nel caso degli enti previdenziali, assume un particolare rigore e grado di difficoltà, in quanto si chiede all'ente di dimostrare una impossibilità della prestazione o comunque la presenza di un fatto oggettivo esterno alla sua sfera di dominio, che determini l'impossibilità della prestazione non superabile attraverso l'uso della normale diligenza. La Corte spinge, dunque, la tutela del cittadino nei rapporti con l'amministrazione non solo al di là dei rapporti procedimentalizzati, ma anche oltre l'ambito del meccanismo consueto rappresentato dalla domanda di pensione respinta per insufficienza dei contributi. Qui siamo in presenza di un comportamento complessivo dell'ente, contraddittorio, e oggettivamente capace di determinare un danno, in quanto si presume da una parte che il provvedimento amministrativo segua all'utilizzo di poteri di indagine e certificativi e dall'altra che il cittadino confidi nel corretto uso di tali poteri, a tutela non solo del diritto a pensione ma anche della sua sfera personale che riguarda il conseguimento di beni essenziali della vita garantiti e tutelati dall'articolo 38 della Costituzione.

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