Contenzioso

Infortuni, senza prova certa vale la probabilità

di Uberto Percivalle e Giulia Spalazzi

La Corte di cassazione, con la sentenza 41171/2017, ha cassato con rinvio la pronuncia del tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, che assolse un datore di lavoro, titolare di uno stabilimento balneare, imputato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

La vicenda trae origine dal decesso di un bagnino travolto da un'onda mentre, nonostante il mare mosso e senza l'utilizzo di alcun dispositivo di sicurezza, dopo aver raggiunto a nuoto una boa posizionata a circa 45 metri dalla riva, cercava di tagliarne i cavi di trattenuta. Nel corso del giudizio di primo grado la condotta negligente del datore di lavoro era emersa: non solo egli, sebbene vi fossero pessime condizioni meteomarine, non aveva seguito costantemente i movimenti in acqua del lavoratore ma, pur in possesso di brevetto da bagnino di salvataggio, non era intervenuto personalmente per soccorrerlo, chiedendo anzi ad altra persona non in grado di nuotare di intervenire.

I medici sentiti nel corso del dibattimento erano stati unanimi nel ritenere che il decesso del lavoratore fosse stato causato da una sindrome da annegamento evoluta in arresto cardiocircolatorio, affermando che nella causazione del decesso l'eventuale compresenza di ulteriori fattori, ad esempio di tipo traumatico, fosse irrilevante.

Ciononostante il tribunale aveva assolto il datore di lavoro sul presupposto che, in mancanza di un'autopsia, non vi fosse prova certa in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento mortale, e non fosse dunque possibile acclarare né le cause esatte del decesso escludendo fattori causali indipendenti, né stabilire da quale momento non sarebbe comunque più stato possibile per l'imputato attivarsi per salvare il lavoratore.

Peraltro, vista l'imminente scadenza del termine di prescrizione e affermando che la documentazione a tal fine utile fosse in ogni caso limitata, il tribunale ritenne superfluo procedere con una consulenza medico-legale. Nella vicenda, i profili penali erano connessi a quelli civili: mentre la prescrizione in vista era di natura penale, le conclusioni del tribunale andavano a respingere la richiesta risarcitoria civile, spiegata dai superstiti del deceduto.

Anche per questo la Suprema Corte è stata di diverso avviso e - in linea con quanto affermato con la recente pronuncia 19270/2017 (per la quale se le leggi scientifiche non consentono un'assoluta certezza della derivazione causale, la regola di giudizio deve essere quella della preponderanza dell'evidenza o criterio «del più probabile che non» da verificarsi non in base a una probabilità statistico quantitativa dell'evento quanto piuttosto in ragione di una probabilità logica) e dalle Sezioni unite con la sentenza Thyssenkrupp (38343/2014) - ha ribadito che, per l'individuazione del nesso causale tra comportamento omissivo ed evento dannoso, non è possibile prescindere da un giudizio di alta probabilità logica, da rendersi anche con ragionamenti di tipo induttivo che tengano conto del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto, essendo del tutto insufficiente una valutazione basata su un mero giudizio di probabilità statistica.

Il tribunale avrebbe dovuto ricostruire il decorso causale attraverso una consulenza tecnica e il mancato approfondimento medico-legale sulla possibile rilevanza salvifica di un intervento più tempestivo è stato per la Suprema corte sufficiente per rimettere la questione davanti a un diverso giudice che, sempre in sede civile, dovrà rivedere la fondatezza della pretesa risarcitoria.

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