Contenzioso

Il giudice competente per il direttore generale dipende dal contenuto della causa

di Lorenzo Zanotti

Con la sentenza 17309/2018, la Cassazione ha affermato che non può essere determinata a priori la competenza del giudice del lavoro o del tribunale delle imprese a fronte di azioni risarcitorie contro un direttore generale che è anche un dipendente. Deve necessariamente individuarsi, di volta in volta, sulla base del contenuto della domanda giudiziale fatto salvo, naturalmente, il caso in cui quest'ultima appaia prima facie artificiosa e finalizzata soltanto a sottrarre la cognizione della causa al giudice predeterminato per legge.

La fattispecie portata all'attenzione dei giudici di legittimità riguarda l'azione risarcitoria promossa da una banca nei confronti dell'ex direttore generale, nonché dipendente della stessa con qualifica di dirigente, per aver quest'ultimo concesso un mutuo di ingente valore disattendendo le più elementari regole prudenziali in materia, tanto che di lì a poco il debitore è fallito provocando una perdita alla banca.

La causa è stata incardinata dinanzi al tribunale di Udine in funzione di giudice del lavoro, il quale ha rilevato la propria incompetenza funzionale in favore della la sezione specializzata in materia di impresa presso il tribunale di Trieste. Ciò in quanto – a parere del giudice di merito – il resistente direttore generale aveva operato nel quadro delle funzioni proprie degli amministratori, a lui specificamente delegate da questi ultimi, e doveva perciò essere giudicato, per la propria condotta, alla stessa stregua delle disposizioni societarie che regolano la responsabilità degli amministratori.

Di diverso avviso è invece la Corte di cassazione, che ha accolto il regolamento di competenza proposto dalla banca avverso la pronuncia di merito.

L'iter argomentativo della Suprema corte muove dal disposto dell'articolo 2396 del codice civile, che estende ai direttori generali le norme che regolano la responsabilità civile degli amministratori in relazione ai compiti loro affidati, facendo tuttavia “salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società”. Pertanto, al fine di stabilire il giudice competente per l'azione promossa contro il direttore generale che sia anche dipendente occorre far riferimento alla genesi dell'azione esercitata, ovvero se questa attenga al rapporto di lavoro o a quello societario (con conseguente competenza, rispettivamente, del giudice del lavoro e del tribunale delle imprese). Tale valutazione deve essere condotta alla luce del petitum sostanziale dell'azione, “identificabile in funzione soprattutto della causa petendi” e operando una valutazione “alla stregua della domanda e dei fatti costitutivi come allegati in essa, non essendo tenuto il Giudice a svolgere un'apposita istruttoria”.

Applicando tale principio al caso specifico, la Corte ha dato rilievo alla circostanza che l'azione contro il direttore generale fosse stata promossa dal consiglio di amministrazione e non deliberata dall'organo assembleare, nonché al fatto che la stessa traesse origine da un'asserita violazione di tipici obblighi di diligenza e fedeltà gravanti sul prestatore di lavoro, per concludere che la stessa era fondata sul rapporto di lavoro e dunque di competenza del relativo giudice.

Il principio affermato appare in linea con altri precedenti della Suprema corte che, ad esempio, ha ritenuto corretta la scelta del tribunale delle imprese per promuovere un'azione risarcitoria avente ad oggetto “atti di concorrenza sleale e abuso di informazioni segrete realizzati da un ex amministratore e da un ex dipendente in epoca successiva alla cessazione dei rispettivi rapporti (di immedesimazione organica e di lavoro subordinato)”, sull'assunto che “qualora uno stesso fatto possa essere qualificato in relazione a diversi titoli giuridici, spetta alla scelta discrezionale della parte attrice l'individuazione dell'azione da esperire in giudizio, essendo consentito al giudice di riqualificare la domanda stessa soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili” (Cassazione 20508/2017).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©