Previdenza

Bce: rischio pensioni con un dietrofront su riforme taglia-spesa

di Davide Colombo

La spesa pensionistica resta l’osservato speciale d’Europa. Nel Bollettino economico della Bce diffuso ieri si torna sul tema, già peraltro affrontato in aprile, per dare conto delle ultime proiezioni di lungo periodo contenute nel Rapporto sull’invecchiamento (2018 Ageing Report) realizzato dal Working group on ageing population (Wga) della Commissione Ue. Scenari noti e che vedono l’Italia ben piazzata nonostante una tensione della spesa nei prossimi vent’anni causata dal ritiro dei baby boomers, un’avversa transizione demografica e deboli capacità di crescita economica. Nell’ipotesi che non si modifichi l’attuale quadro regolatorio la nostra spesa pensionistica sale “solo” di circa tre punti, dal 15,7% attuale al 18,4% del Pil. Ma le cose potrebbero cambiare (e di molto) se le riforme adottate in passato venissero cancellate. In questo caso si determinerebbero «alti rischi», scrivono gli analisti dell’Eurosistema, in particolare per l’Italia e la Spagna.

Il warning è elevato anche per gli scenari in cui sono previsti importanti cali dei tassi di sostituzione (ovvero il rapporto tra pensione e ultimo stipendio) perché potrebbero far aumentare il ricorso a trasferimenti assistenziali laddove le forme pensionistiche complementari non fossero sufficientemente diffuse. È il caso dell’Italia che, come noto, viaggia anche con il debito pubblico più elevato. Per questo, scrive la Bce, servono «interventi risoluti» per contenere i previsti aumenti di spesa da invecchiamento.

C’è un indicatore tra i tanti, segnalato dalla Bce, che fa riflettere sui rischi delle previsioni: la produttività totale dei fattori (Tfp). Si assume che convergerebbe, nel lungo periodo, verso l’1% medio per confermare gli scenari Wga, obiettivo lontano per l’Italia che, nella media 1999-2016, è stato attorno a zero. E lo stesso vale per il tasso di disoccupazione, dato al 6,8% medio nel lungo periodo, mentre l’Italia è da anni sopra l’11%.

Sul peso delle ipotesi economiche e demografiche che sono alla base delle diverse previsioni sulla spesa pensionistica di lungo periodo e la connessa sostenibilità della finanza pubblica, sempre ieri ha proposto una sua analisi anche l’Ufficio parlamentare di Bilancio. L’UpB mette a confronto tre esercizi di simulazione: quello nazionale fatto dalla Ragioneria e che ipotizza una gobba di spesa al 16,2% nel 2014, quello europeo (Wga) che arriva appunto al 18,4% e l’esercizio del Fmi, che proietta la spesa fino al picco del 20,5%. In quest’ultimo caso le ipotesi sottostanti sono un tasso di occupazione che non supera mai il 59,3% (contro il 66,4% di Rgs e il 62,3% di Wga). Ma Fmi è pessimista anche sui flussi migratori netti, che si stabilizzerebbero sugli 85mila l’anno contro i 139mila della scenario nazionale e i 170mila di quello europeo, e il tasso di crescita della produttività, data al massimo all’1,3% contro i più ottimisti 1,8% di Rgs e Wga.

La conclusione cui giunge l’Ufficio di Bilancio è che se le riforma passate stanno facendo il loro lavoro (ovvero tenere la spesa nonostante l’invecchiamento in atto) i rischi dipendono dai persistenti effetti della crisi macroeconomica, che tengono bassa la produttività e scoraggiano i flussi migratori netti. Tra Bce e Upb ce n’è abbastanza per il nuovo governo: bisogna pensarci due volte prima di toccare la spesa per pensioni.

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