Rapporti di lavoro

Nuovo ecosistema di relazioni

di Stefano Micelli

Il rapporto dell’associazione milanese degli imprenditori, Assolombarda, sul futuro del lavoro nella quarta rivoluzione industriale è un documento ambizioso. Non si limita riflettere sui limiti storici dell’organizzazioni di impresa di fronte ai grandi cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie. Va oltre.

Il percorso proposto da Tiraboschi e Seghezzi e dal loro gruppo di lavoro prova a riflettere sul lavoro come pivot su cui rilanciare un’idea di territorio, su cui costruire un progetto di coesione sociale e su cui ripensare un welfare effettivamente sostenibile.

Alla base del ragionamento vi sono alcune considerazioni sui grandi cambiamenti di questi anni.

Nella quarta rivoluzione industriale la competitività delle imprese – ci dicono gli autori – dipenderà in modo rilevante dalla competitività dei territori. La possibilità di costruire relazioni e alleanze non dipenderà solo dalla tecnologia (banda larga, Internet of things) ma anche e soprattutto dalla possibilità di mobilitare l’intelligenza e la vitalità di istituzioni che oggi non hanno ancora ripensato a sufficienza il proprio ruolo.

Il lavoro, inteso come capacità di espressione della persona e fattore di promozione dell’intelligenza e della passione dell’individuo, costituisce il punto di partenza per ripensare un ecosistema di relazioni che è fattore abilitante della crescita economica delle
imprese e, allo stesso tempo, ingrediente essenziale della qualità della vita.

La ricerca parte, come è ragionevole, da alcune riflessioni su alcuni temi classici. Si invita a ripensare il concetto di orario di lavoro, mettendo in discussione la possibilità di poter valutare il contributo del dipendente semplicemente sulla base del tempo passato in azienda. Proseguendo su questa linea, il rapporto suggerisce di promuovere forme di contrattazione centrate sul tema delle competenze, superando le declaratorie dei contratti nazionali sulle mansioni dei lavoratori che finiscono per diventare «una gabbia troppo stretta e non una tutela del lavoratore».

Se è vero, però, che la competitività si gioca a livello di territori e non più di singole imprese, la sfida per valorizzare il lavoro del futuro è mettere a punto nuove connessioni fra istituzioni che diano spazio alla crescita degli individui.
Gli esempi non mancano.

Un primo terreno di sperimentazione è dato dal ripensamento del ruolo delle università e del loro contributo al territorio. La proposta del rapporto non si limita a incentivare genericamente le relazioni fra impresa e università ma propone un ripensamento delle formule didattiche tradizionali (superamento della lezione frontale, incentivi alla didattica attiva, aumento delle ore di laboratorio) per favorire un incontro fattivo fra chi lavora e chi studia.

Il rapporto ragiona, poi, sul nodo della formazione tecnica superiore e sul consolidamento degli ITS. Le fondazioni che hanno accompagnato lo sviluppo dei corsi per tecnici superiori (oggi 95 in tutta Italia con più di 10.000 studenti iscritti) hanno ottenuto risultati importanti in termini di placement e di accreditamento presso le imprese. Si tratta ora di accelerare “esponenzialmente” la crescita dell’offerta per dare una risposta efficace alla domanda crescente di profili professionali puntando su una formazione che guarda all’innovazione e al cambiamento.

Un terzo banco di prova riguarda il mondo della rappresentanza e il suo ruolo nella definizione di politiche per la competitività del territorio. Le organizzazioni di rappresentanza possono diventare i protagonisti di un percorso di valorizzazione delle risorse dei territori a condizione di diventare fattore di promozione di coalizioni innovative a scala locale.

Ciò che lega questi e altri interventi suggeriti all’interno del rapporto è un’idea di lavoro come spazio di espressione dell’individuo.

In un momento storico in cui si moltiplicano le voci che parlano di fine del lavoro e che identificano nelle trasformazioni tecnologiche in atto il capitolo finale di un percorso che vede l'inevitabile banalizzazione del contributo dei più ai processi economici, il rapporto di Assolombarda è un ragionevole gesto di ottimismo.

Non è solo una riflessione sul lavoro. È l’inizio di un ragionamento sulla società che siamo chiamati a costruire.

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