Ciclofattorini autonomi ma con alcune tutele dei dipendenti
I ciclofattorini sono lavoratori autonomi ma con alcune tutele estese. Questo emerge dalle motivazioni della sentenza 26/2019 con cui la Corte d’appello di Torino ha deciso la controversia relativa allo status giuridico dei rider di Foodora. Vale la pena fare un riassunto della vicenda: cinque fattorini con contratto di collaborazione coordinata e continuativa hanno citato in giudizio la società per vedersi riconosciuta la subordinazione e, in aggiunta, il risarcimento di danni a vario titolo. Il Tribunale di Torino (come pure quello di Milano, in un giudizio simile) ha respinto il ricorso, sottolineando che la libertà di decidere se, e quando, lavorare (riconosciuta ai rider) esclude la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
La Corte d’appello torinese ha riformato la sentenza di primo grado, pur confermando che il rapporto tra rider e piattaforma non può dirsi subordinato. Lo fa applicando l'articolo 2 del Dlgs 81/2015 (uno dei decreti del Jobs act), norma molto discussa ma raramente (meglio, mai) applicata, che secondo la Corte individua un “terzo genere”, che si colloca tra il lavoro subordinato (articolo 2094 del codice civile) e il lavoro autonomo coordinato e continuativo (articolo 409, numero 3, del codice di procedura civile). La norma prevede che la «disciplina» del lavoro subordinato sia applicata alle collaborazioni autonome che siano personali, continuative e «organizzate dal committente con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».
Nessun dubbio sulla personalità della prestazione del rider. Gli altri due elementi, necessari per l’applicazione della norma, rappresentano invece concetti di maggiore complessità, la cui valutazione, in fatto e diritto, rappresenta un esercizio non facile. Cominciamo dalla natura continuativa della prestazione. La Corte ritiene, con valutazione ex post, che la non occasionalità delle prestazioni e la loro reiterazione nel tempo (anche se intervallate) soddisfi il requisito. Una nozione molto ampia di continuità, come la stessa Corte ammette, adottata in considerazione della peculiarità e continua evoluzione dei rapporti di lavoro in esame.
La continuità in senso giuridico, infatti, ben potrebbe più restrittivamente (e coerentemente) essere intesa come permanere nel tempo dell’obbligazione di rendere la prestazione, il che non si ravviserebbe nel caso dei rider. Quale sia in concreto la «ampiezza» del concetto di continuatività, sarà certamente uno dei temi da approfondire, posto che la norma alla base della decisione richiede tale natura per essere applicata.
Il secondo requisito, quello della «etero-organizzazione» è distinto, nel ragionamento della sentenza, da un lato dal potere «gerarchico-disciplinare-direttivo» tipico della subordinazione e, dall’altro, dal coordinamento (contrattuale) dell’articolo 409 del codice di procedura civile (come modificato nel 2017). Nella prestazione coordinata il collaboratore definisce consensualmente le modalità di coordinamento con il committente, e organizza autonomamente quelle di esecuzione della prestazione.
Il lavoro etero-organizzato (il “terzo genere”) si caratterizza, invece, per il potere del committente di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore, stabilendo (unilateralmente) i tempi e i luoghi di lavoro. Il lavoratore etero-organizzato rimane autonomo, ma gli si applica la disciplina del lavoro subordinato, o quantomeno una parte di essa. Come afferma la Corte, viene fatto salvo l’assetto negoziale stabilito dalle parti (autonomia), ma con «l’estensione delle tutele previste per i rapporti di lavoro subordinato». In sostanza, si crea una tipologia di lavoro autonomo particolarmente tutelata.
Quale sia poi l’ampiezza delle tutele è questione che susciterà certamente futuri dibattiti (e contenziosi). Secondo la Corte torinese, quelle applicabili comprendono «sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza». Non (a quanto è dato di capire) le disposizioni in materia di licenziamento, in assenza di subordinazione. Le domande relative ai licenziamenti sono state infatti respinte, anche in considerazione della natura a termine dei contratti. Di fatto ai cinque rider la Corte ha riconosciuto (in base all’articolo 36 della Costituzione) solo il diritto al trattamento retributivo dei lavoratori dipendenti paragonabili (V livello del Ccnl logistica), peraltro «solo riguardo ai giorni e alle ore di lavoro effettivamente prestate».
Se le conseguenze pratiche della sentenza sono, tutto sommato, abbastanza limitate, l’interesse suscitato da questa prima applicazione della controversa norma sul lavoro etero-organizzato è molto elevato. La presa di posizione della Corte non mancherà di influenzare anche il dibattito e le iniziative in corso a livello governativo e parlamentare.