Contenzioso

Al portinaio l’onere di provare il mobbing in condominio

di Vincenzo Di Domenico

Il mobbing può verificarsi in tutti gli ambienti di lavoro e, dunque, anche nel condominio, nei confronti del portiere. Affinché il mobbing venga riconosciuto, è necessario provare l’esistenza di un disegno persecutorio da parte del datore di lavoro, mettendo in chiara correlazione gli accadimenti sul posto di lavoro con la volontà di vessare il dipendente.

Nel caso del portiere, però, la condotta vessatoria potrebbe risultare più complessa, per il fatto che sul suo posto di lavoro il custode potrebbe subire le angherie oltre che dall’amministratore - in veste di datore di lavoro - anche dei condòmini. È quanto emerge dall’ordinanza numero 25872/18 della Corte suprema di cassazione, in cui è stata sottolineata la difficoltà di configurare la fattispecie del mobbing nei confronti di un portiere impiegato in un condominio a Napoli, a causa della «frammentazione del condominio datore di lavoro, in una pluralità di datori di lavoro impersonati dai singoli condòmini».

Le stesse Corti di merito avevano ammesso ancor prima delle difficoltà nell’accertare la situazione oggettiva: il lavoratore lamentava sia un atteggiamento dispotico dell’amministratore (orari di lavoro eccedenti, mancata fruizione delle ferie…), sia minacce e violenze da parte di alcuni condòmini.

Vagliando però le prove, la Corte suprema aveva escluso che tali fenomeni potessero costituire fonte di risarcimento danni da mobbing, rigettando così il ricorso del portiere (accolto solo per il riconoscimento di alcune differenze retributive).

Andando a ritroso, anche la sentenza 2161/2012 del Tribunale di Catania si era espressa a sfavore di un portiere che aveva accusato il condominio di mobbing: seppure fossero emersi episodi volti a evidenziare un conflitto sul lavoro, questi non erano stati ritenuti sufficienti per far ricorrere un’ipotesi di mobbing.

L’onere della prova di mobbing è in capo al lavoratore che agisce in giudizio. Egli deve dimostrare che i comportamenti di carattere persecutorio e discriminatorio sono stati messi in campo in modo mirato, sistematico e prolungato con la volontà datoriale di estromissione del lavoratore dal contesto lavorativo; al dipendente spetta anche rendere noti gli effetti della condotta del datore di lavoro sulla sua integrità psico-fisica.

Qualora venga provato il nesso causa- effetto tra il comportamento del datore di lavoro (nel nostro caso l’amministratore) e il danno sofferto dal lavoratore, il datore deve rispondere dei relativi danni. Il condominio è comparabile a un’azienda nel momento in cui al suo interno viene svolta un’attività di lavoro subordinato e, in tale circostanza, l’amministratore viene ad assumere il ruolo di datore di lavoro, con i relativi obblighi nei confronti del dipendente.

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