Rapporti di lavoro

Alle figure promosse senza ruolo effettivo si applica l’articolo 18

di Pasquale Dui

Assegnare una pseudo-dirigenza, o una promozione improvvisa, può rappresentare un rischio in caso di contenzioso su un eventuale licenziamento del lavoratore. Per chi non ha il ruolo effettivo di dirigente, infatti, valgono i limiti alla libertà di recesso previsti dalla legge, e le tutele valide per gli altri lavoratori.

Si definisce dirigente per convenzione, o «pseudo-dirigente», il collaboratore dell’impresa al quale sia attribuita formalmente una qualifica superiore a quella che risulterebbe applicabile in base ai parametri contrattuali collettivi e legali, basati sul criterio del contenuto oggettivo delle mansioni.

Alcuni esempi: il datore di lavoro attribuisce la qualifica dirigenziale al dipendente quadro, o a quello del massimo grado impiegatizio, vicino all’età pensionabile, più come un riconoscimento di carriera che come di miglioramento del trattamento economico, spesso lasciato inalterato nel suo ammontare, attraverso il sistema dell’assorbimento del superminimo tangibile. Ancora, si può ipotizzare il caso di una promozione con salto di qualifica, tale da raggiungere quella dirigenziale, connessa al merito del lavoratore, indipendentemente da una valutazione sul contenuto concreto delle mansioni. Non si esclude, peraltro, l’ipotesi di un uso distorto dello strumento della promozione “sul campo”, laddove il datore di lavoro volesse, in ipotesi, eludere la normativa sui licenziamenti.

Anche di recente, la giurisprudenza ha avuto modo di ribadire che il dirigente privo di poteri decisionali per la gestione dell’azienda ha diritto, in caso di licenziamento, alla protezione prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (ove applicabile e salvi i limiti numerici), perché non titolare di alcuna delle situazioni che caratterizzano la qualifica dirigenziale.

Peraltro, mentre per le categorie di lavoratori quali quadri, impiegati, operai, la legge si è premurata, negli ultimi decenni, di prevedere un regime di tutela ad hoc, sia di natura indennitaria (risarcimento), sia di natura reale (reintegrazione), per i casi di licenziamento illegittimo o, comunque, invalido dei dirigenti – data la loro esclusione da simili tutele – ha sopperito la contrattazione collettiva di settore (ad esempio: dirigenti industria; terziario/commercio; credito; assicurazioni e così via, per oltre venti previsioni di Ccnl), introducendo la disciplina del licenziamento «ingiustificato», senza offrire però una qualificazione o precisa descrizione giuridica di tale concetto.

La giusta causa e il giustificato motivo oggettivo vanno tenuti distinti dalla giustificatezza, categoria contrattuale collettiva del rapporto di lavoro dirigenziale. In questo senso, mentre la giusta causa consiste in un fatto che, in concreto valutato, e, cioè, sia in relazione alla sua oggettività, sia con riferimento alle sue connotazioni soggettive, determina una grave lesione dell’elemento fiduciario, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo – ancor più vincolata al carattere fiduciario del rapporto dirigenziale – è da legare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto, come tali valutabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicché non giustificato (ai sensi del Ccnl) è il licenziamento per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione.

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