Per l'apprendistato nella pubblica amministrazione serve un approccio strutturale che lo integri pienamente nel sistema di reclutamento pubblico, con il necessario coinvolgimento della contrattazione collettiva e un chiaro riferimento agli standard professionali. Solo così l'apprendistato potrà rappresentare una opportunità reale per la modernizzazione della Pubblica Amministrazione
È da quasi trent'anni che il legislatore italiano tenta, senza esiti concreti, di estendere l'applicazione del contratto di apprendistato anche nel settore pubblico quale canale privilegiato di ingresso dei giovani nelle pubbliche amministrazioni e leva per la costruzione di nuove competenze e professionalità. L'idea di rendere operativo l'apprendistato in tutti i settori - compreso dunque il settore pubblico - si trova già nella legge Treu del 1997. Ulteriori tentativi sono stati fatto con la legge Biagi e soprattutto con il Testo Unico dell'Apprendistato del 2011. Un ulteriore tentativo è stato infine fatto dieci anni fa con il Jobs Act che affida a un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di definire i necessari passaggi tecnici anche alla luce delle regole costituzionali di accesso al lavoro pubblico.
Nonostante questi plurimi tentativi, l'apprendistato nella Pubblica Amministrazione italiana rimane una chimera. Per fare una comparazione con altri Paesi a noi vicini, per ordinamento giuridico e cultura, basti ricordare che in Francia sono stati sottoscritti nel 2023 ben 25.609 contratti di apprendistato con amministrazioni pubbliche, con un andamento crescente dal 2013 a oggi, pari al 3% del totale degli apprendistati attivi. Nel settore pubblico francese l'apprendistato cresce in misura maggiore (+9%) che in quello privato (+1%), rispetto all'anno precedente, con una collocazione prevalente, pari al 60%, nelle amministrazioni locali, il 29% nelle amministrazioni statali e il restante nella sanità o imprese pubbliche
È merito del Ministro della Funzione Pubblica Paolo Zangrillo lo sforzo di aver avviato, in tempi recenti, un nuovo tentativo di ricorso al contratto di apprendistato come occasione unica per ringiovanire e accelerare il processo di innovazione e di digitalizzazione della pubblica amministrazione. Tuttavia, le sperimentazioni avviate prima con la tardiva attuazione del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 e poi con il decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 non hanno prodotto i risultati sperati, coinvolgendo un numero esiguo di giovani. Parliamo di meno di 100 posizioni contrattuali in totale che sono state formalmente attivate seppure non si conoscano gli esiti pratici e se questi apprendisti sono ancora dentro la pubblica amministrazione. Queste iniziative sono state caratterizzate da ritardi applicativi e da un impianto giuridico che non rispecchia l'essenza dell'apprendistato, operando in deroga al regime ordinario e mancando di un adeguato raccordo con il sistema scolastico, universitario e, soprattutto, con la contrattazione collettiva del settore pubblico.
La sperimentazione del 2021, ad esempio, ha portato all'attivazione di soli 20 rapporti di apprendistato, tutti nell'ambito di programmi di dottorato di ricerca. Quella del 2023 ha messo a bando appena 75 posizioni, molte delle quali non rappresentano veri e propri contratti di apprendistato, ma si configurano come borse di studio o periodi di tirocinio presso le amministrazioni, senza l'attivazione di un rapporto di lavoro stabile.
Non si tratta solo di una mancata attuazione, ma di un problema di metodo e di sistema. L'apprendistato è stato ridotto a un mero strumento di inserimento occupazionale, perdendo la sua dimensione formativa e sistemica. La sua funzione di raccordo tra domanda e offerta di lavoro è stata trascurata, così come la necessaria interazione con gli standard professionali previsti dalla contrattazione collettiva.
Le amministrazioni hanno attivato questi contratti con un approccio frammentato e privo di una reale finalizzazione alla costruzione di percorsi professionali. La formazione, elemento cardine dell'apprendistato, risulta assente o marginale nei bandi. Non si è registrata alcuna reale volontà di integrare l'apprendistato in un sistema strutturato di ingresso nel settore pubblico. Piuttosto è evidente il tentativo di reperire personale attraverso strumenti contrattuali che si avvicinano più a tirocini o contratti a termine che a veri contratti di apprendistato. In alcuni bandi, non a caso, si parla di indennità anziché di retribuzione degli apprendisti.
La mancata partecipazione della contrattazione collettiva, che sarebbe stata essenziale per definire inquadramenti e percorsi professionali coerenti con il sistema pubblico, ha contribuito al fallimento delle sperimentazioni. Anche l'inquadramento professionale degli apprendisti è stato incoerente con la natura dell'apprendistato stesso: le posizioni bandite si riferivano già a categorie legali e professionali "piene", come quella di funzionario, dimenticando però che l'apprendistato è innanzitutto un percorso per costruire e raggiungere una qualifica contrattuale e non tanto un contratto di ingresso per un lavoratore con una professionalità già compiuta.
A oltre venticinque anni dai primi tentativi, la lezione è chiara: non è sufficiente introdurre l'apprendistato nella pubblica amministrazione con norme sperimentali e derogatorie. Serve un approccio strutturale che lo integri pienamente nel sistema di reclutamento pubblico, con il necessario coinvolgimento della contrattazione collettiva e un chiaro riferimento agli standard professionali. Solo così l'apprendistato potrà rappresentare una opportunità reale per la modernizzazione della Pubblica Amministrazione e non restare un esperimento fallimentare. L'auspicio è che siano le parti negoziali a farsi carico di questa urgenza stabilendo i necessari raccordi di sistema tra apprendistato e famiglie professionali. Solo così le prossime sperimentazioni potranno dare qualche risultato tangibile.
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di Potito di Nunzio e Laura Antonia di Nunzio