Contenzioso

Assegni per i figli anche se c’è sospensione dell’attività autonoma

di Marina Castellaneta


Una lavoratrice autonoma, che cessa l'esercizio dell'attività per alcune limitazioni fisiche dovute alla sua gravidanza, conserva la qualità di lavoratrice se riprende lo stesso o un altro impiego entro un periodo di tempo ragionevole dopo la nascita del figlio. E, di conseguenza, ha diritto a usufruire dell'assegno settimanale per i figli a carico.

È il principio stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza depositata il 19 settembre nella causa C-544/18, che ha portato a un ampliamento della tutela della lavoratrice autonoma, per non determinare una disparità di trattamento rispetto alla dipendente.

Alla Corte Ue si era rivolto il tribunale superiore (sezione ricorsi amministrativi) del Regno Unito alle prese con un ricorso di una cittadina lituana che svolgeva l'attività di estetista. Durante il periodo di gravidanza ha cessato la sua attività e, dopo la nascita del figlio, ha presentato una domanda di assegno settimanale per i figli a carico.

La Corte Ue, in primo luogo, ha chiarito in quali casi un lavoratore subordinato o autonomo conserva tale qualità pur avendo cessato l'attività. La direttiva 2004/38 – osservano gli eurogiudici – non include, tra i casi in cui un cittadino dell'Unione che termina la sua attività lavorativa abbia diritto alla conservazione di tale qualifica, l'ipotesi della donna che cessa temporaneamente di lavorare a causa delle ultime fasi della gravidanza e del periodo post parto.

Tuttavia, poiché l'elenco formulato dalla direttiva non è esaustivo, la Corte giunge alla conclusione che la donna, lavoratrice autonoma, in una situazione come quella indicata, conserva la qualità di “lavoratrice”. Questo perché la circostanza che «non sia stata effettivamente presente sul mercato del lavoro dello Stato membro ospitante per alcuni mesi non implica che tale persona abbia cessato di far parte di detto mercato durante tale periodo».

A patto, però, chiarisce la Corte del Lussemburgo, che la donna riprenda il lavoro o trovi un altro impiego dopo il parto in un termine ragionevole. Un principio - scrive la Corte - che va applicato sia nel caso di lavoro subordinato che autonomo, perché è irrilevante la qualificazione della modalità di esercizio dell'attività economica. Solo in questo modo, d'altra parte, è garantito il diritto alla libertà di circolazione, che non può essere compromesso per il solo fatto che, per un breve periodo, la donna sospenda l'attività lavorativa. Inoltre, la donna in gravidanza si trova nello stesso stato di vulnerabilità sia se esercita l'attività in via subordinata che in modo autonomo e, quindi, i diritti devono essere gli stessi.

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