Committente libero dal pagamento dei contributi se li ha versati l’appaltatore fittizio
Tra le più recenti pronunce della sezione lavoro della Corte di cassazione, balza agli occhi l'ordinanza della sezione lavoro 8 luglio 2019, n. 18278 che si è confrontata, nell'ambito di un giudizio di opposizione a cartella esattoriale di pagamento di contributi e sanzioni, sulla questione dell'interposizione fittizia di manodopera nell'appalto di opere o servizi.
In particolare, i giudici hanno rilevato come l'appalto, ogniqualvolta sia posto in essere senza rispettare le previsioni di cui al primo comma dell'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 è e resta illecito. Non è infatti ammissibile un appalto privo dei necessari requisiti di autonomia e genuinità.
E a fronte di un appalto illecito, il committente è chiamato a rispondere del pagamento delle retribuzioni verso i lavoratori addetti all'appalto e dei contributi verso gli enti previdenziali in solido con l'appaltatore.
Per la Cassazione, oltretutto, il potere degli enti previdenziali di agire nei confronti del committente per recuperare i contributi che l'appaltatore abbia omesso di versare non è escluso dal diritto del lavoratore di ottenere, dal soggetto che ha utilizzato la propria prestazione lavorativa attraverso un appalto illecito, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato.
Con riferimento ai pagamenti a titolo contributivo effettuati dall'appaltatore, la Corte ha poi chiarito che, così come del resto si evince dal comma 3 bis dell'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, gli stessi sono idonei a liberare il committente fino alla concorrenza delle somme versate e che tale assunto non è altro che una specificazione del principio generale posto dall'art. 1180 del codice civile, che disciplina l'adempimento del terzo. Pertanto, occorre verificare in concreto che le pretese contributive degli enti previdenziali siano state effettivamente soddisfatte.
Per aver più chiaro il concetto, può essere utile soffermarsi su quanto disposto dal suddetto primo comma dell'art. 29, che sancisce la differenza tra appalto di manodopera e somministrazione di lavoro, così delineando i confini entro i quali il primo può dirsi lecito e chiarendo quando invece lo stesso appare illecito.
In particolare, tale norma stabilisce che ai fini dell'applicazione delle norme contenute nel titolo della legge Biagi dedicato all'appalto, quest'ultimo si distingue dalla somministrazione di lavoro sostanzialmente per l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore. Questa, come prosegue lo stesso comma, può anche risultare dal potere direttivo e organizzativo nei confronti dei lavoratori utilizzati.
Altro elemento distintivo dell'appalto rispetto alla somministrazione di lavoro è l'assunzione del rischio di impresa da parte del medesimo appaltatore.