Contenzioso

I termini esatti di decadenza per impugnare un contratto a termine in somministrazione

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di Valeria Zeppilli

Chi intende impugnare un contratto di lavoro a termine in somministrazione deve tener conto di un importante principio, ribadito dalla Corte di cassazione nei giorni scorsi (sezione lavoro, 26 aprile 2021, n. 11001): l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo di una serie di contratti in successione non si estende ai contratti precedenti, che devono essere autonomamente impugnati.
Tale regola vale sempre, anche quando tra un contratto e l'altro non siano decorsi i sessanta giorni utili per l'impugnativa. Per la Corte, infatti, l'eventuale unico continuativo rapporto di lavoro può essere determinato solo ex post, una volta che sia stata accertata l'illegittimità del termine apposto al contratto. Fino a quel momento, non vi è un unico contratto e, di conseguenza, le regole relative all'impugnabilità del rapporto si applicano a ciascuno dei contratti a termine in somministrazione reiterati tra le parti.
Inoltre, bisogna evitare di confondere il termine di decadenza di sessanta giorni fissato dall'articolo 32, comma 1, della legge n. 183/2010 con quello di centoventi giorni previsto dalla legge n. 92/2012: quest'ultimo, infatti, non riguarda il caso della somministrazione di manodopera ma l'ipotesi, da tenere ben distinta, in cui il rapporto di lavoro a termine è instaurato dal lavoratore direttamente con chi usufruisce della propria prestazione. Ci si trova, insomma, di fronte a un'ipotesi diversa dalla somministrazione, della quale fanno parte tre diversi soggetti e in cui il contratto stipulato dal lavoratore vincola quest'ultimo non direttamente nei confronti del soggetto in favore del quale lo stesso svolgerà la propria attività, ma nei confronti dell'agenzia di somministrazione (ovverosia il datore di lavoro formale, che sarà poi il soggetto che contratterà con l'utilizzatore, da intendersi come datore di lavoro sostanziale).
Nella recente pronuncia, la Corte di cassazione si è anche implicitamente confrontata con la portata della norma posta dall'articolo 2966 del codice civile, con un passaggio che merita di essere citato.
Nel convalidare le conclusioni del giudice di merito sul punto, la sentenza ha di fatto confermato l'impossibilità di riconoscere il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro sul presupposto di illegittimità dei termini apposti valorizzando la reiterazione dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato: non si tratta, infatti, di un comportamento concludente rilevante quale fatto impeditivo della decadenza ai sensi del predetto articolo (il quale, si ricorda, stabilisce che questa "può essere anche impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza").

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