Una recente sentenza di merito prova a chiarezza in merito alla valutazione della maggiore rappresentatività comparata
Il rebus della maggiore rappresentatività comparata è tornato alla attenzione della magistratura. Alcune recenti pronunce indicano come non sia una operazione particolarmente complessa quella di individuare, tra i tanti contratti collettivi nazionali di lavoro che insistono sulla medesima categoria contrattuale, quello sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative.
Quando il giudice è chiamato ad individuare quale sia il suddetto contratto collettivo (c.d. contratto leader), il punto centrale del ragionamento giuridico non attiene infatti alla verifica della mera rappresentatività di questo o di quel sindacato. In questi casi la legge impone piuttosto di selezionare, tra i tanti contratti collettivi presenti in un determinato settore, quello che, comparato agli altri, è espressione del sistema contrattuale maggiormente rappresentativo. Si pensi al caso in cui il datore di lavoro deve determinare la retribuzione imponibile ai fini previdenziali (art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995), oppure quando lo stesso richiede il riconoscimento di particolari benefici economici e normativi (cfr. art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006); o, ancora, quando l'imprenditore vuole usufruire di particolari misure di flessibilità nell'impiego di tipologie contrattuali no-standard (cfr. art. 51 del d.lgs. n. 81/2015). Quale è il contratto collettivo di riferimento per il settore o, più precisamente, in caso di presenza di più contratti di settore quale è il contratto da applicare al caso concreto?
Di grande interesse, da questo punto di vista, è la recente sentenza del Tribunale di Campobasso dello scorso 10 aprile 2024, che si distingue per aver saputo ben integrare il ragionamento giuridico con una puntuale conoscenza dei dati di realtà del nostro sistema di relazioni industriali.
Il Tribunale di Campobasso correttamente sottolinea che, «per stabilire la maggiore o minore rappresentatività, non si deve considerare il CCNL bensì le parti sociali, sia dal lato datoriale sia dal lato lavoratori», e quindi il sistema contrattuale di riferimento.
Pertanto, al giudice del lavoro non può essere assolutamente indifferente se il contratto collettivo applicato dalla impresa sia sottoscritto da una organizzazione sindacale dei lavoratori o dei datori piuttosto che da un'altra. Quando la legge lo richiede in modo specifico, allora, la verifica della rappresentatività comparata deve riguardare sia la delegazione sindacale dei lavoratori che quella delle imprese considerando, quindi, non questa o quella organizzazione sindacale singolarmente intesa ma l'intera compagine sindacale (dei lavoratori e delle imprese) che partecipa alla gestione di un determinato sistema contrattuale.
In questo senso, il Tribunale di Campobasso ha puntualizzato che, ai fini dell'art. art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995, il CCNL Commercio ANPIT-CISAL non può dirsi sottoscritto «dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria» poiché, seppure sia riscontrabile un certo grado di rappresentatività in capo alla CISAL attraverso l'esame di alcuni documenti istituzionali, non può dirsi lo stesso riguardo all'ANPIT, non citata nella documentazione acquisita agli atti del processo.
Inoltre, il giudice osserva come dalla medesima documentazione allegata agli atti del processo emerga che il CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi sottoscritto dall'associazione datoriale Confcommercio e dalle organizzazioni sindacali Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil sia il contratto collettivo comparativamente più rappresentativo rispetto agli altri CCNL di categoria, in quanto l'organizzazione datoriale sottoscrivente sarebbe «rappresentativa del 97,23% delle Aziende del Settore» mentre la coalizione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori sarebbe rappresentativa «del 95,04% dei lavoratori del settore, pari a 396.858 Aziende e 2.396.370 lavoratori del settore».
La rappresentatività alla quale fa riferimento il giudice è, in realtà, il tasso di copertura del CCNL, cioè la percentuale di imprese e lavoratori operanti in un determinato settore al quale si applica il contratto collettivo. Si tratta di dati facilmente verificabili attraverso il codice alfanumerico dei rispettivi CCNL e i flussi Uniemens come riportato nell'Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro del CNEL.
Secondo quanto emerge dall'analisi dei flussi Uniemens 2023, ad esempio, possiamo facilmente riscontrare che il CCNL Confcommercio viene applicato da quasi 400.000 aziende e copre circa 2,5 milioni di lavoratori e lavoratrici, rispetto ad altri CCNL che, presentando una sfera di applicazione sovrapponibile (totalmente o parzialmente) a questo, coprono un minor numero di imprese e lavoratori.