Diritto del lavoratore al trasferimento per assistenza al familiare disabile
Il diritto del lavoratore di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere sussiste non solo nel momento iniziale di instaurazione del rapporto, ma anche in ipotesi di domanda di trasferimento.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con ordinanza del 1° marzo 2019, n. 6150, che traccia in modo ampio i confini di applicabilità dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (come modificato, da ultimo, dalla legge n. 183/2010), il quale prevede che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste il coniuge o un parente con handicap in situazione di gravità «ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede».
La Cassazione interviene sul caso di un dipendente delle Poste Italiane che aveva chiesto il trasferimento in una sede vicina al domicilio della sorella con necessità di assistenza, essendo in condizione di handicap grave. Poste Italiane aveva negato il trasferimento sostenendo che quanto disposto dall'art. 33, comma 5 citato, potesse trovare applicazione solo nell'ipotesi di prima scelta della sede di lavoro e non anche in caso di trasferimento (letteralmente: «laddove la continuità dell'assistenza fosse stata interrotta con l'assegnazione della sede lavorativa ed il dipendente mirasse a ripristinarla attraverso il trasferimento»).
La Suprema Corte, in linea con quanto disposto dalla Corte di appello, con interessanti argomentazioni, respinge le istanze di Poste italiane e conferma il diritto del lavoratore al trasferimento, spiegando la portata applicativa dell'art. 33, comma 5 della legge n. 104/1992. La ratio della norma è quella di favorire l'assistenza al parente o affine handicappato ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all'epoca dell'inizio del rapporto stesso (Cass. n. 28320 /2010).
La Corte costituzionale, ricorda la sentenza, ha più volte stabilito che «l'assistenza del disabile e, in particolare, il soddisfacimento dell'esigenza di socializzazione, in tutte le sue modalità esplicative, costituiscono fondamentali fattori di sviluppo della personalità e idonei strumenti di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica» (Corte Cost. n. 213 del 2016). Di conseguenza il diritto alla salute psico-fisica, comprensivo della assistenza e della socializzazione, va garantito e tutelato al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, deve intendersi «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico», ivi compresa appunto la comunità familiare.
Per la Cassazione circoscrivere l'agevolazione in favore dei familiari della persona disabile al solo momento della scelta iniziale della sede di lavoro, come preteso da Poste Italiane, equivarrebbe a tagliare fuori dall'ambito di tutela tutti i casi di sopravvenute esigenze di assistenza sopravvenute in un momento successivo, compromettendo i beni fondamentali tutelati dalla costituzione e richiamati da numerose pronunce della Consulta (Corte Cost. n. 350 del 2003; n. 158 del 2007; n. 138 del 2010; n. 213 del 2016).