Risorse umane, lo stipendio è la priorità che elimina i gap
I più giovani, la Gen Z, attribuiscono meno peso alla retribuzione, ma per tutti gli altri è una priorità per lasciare un posto di lavoro o rimanerci, secondo un report di McKinsey a livello globale
L’incontro, la convivenza e la collaborazione tra generazioni diverse in un mercato del lavoro molto più fluido del passato, ormai da un paio di decenni ha portato chi si occupa di risorse umane a suddividere le generazioni secondo fasce di età abbastanza precise. Accompagnate spesso da stereotipi nei comportamenti e nei bisogni.
Le generazioni a confronto
Ma siamo sicuri che quella generazionale sia la chiave giusta per interpretare e intercettare i bisogni delle diverse generazioni e capire come si muovono nel mercato del lavoro? Nei tempi in cui parlare di fidelizzazione e attrazione è sempre più difficile, soprattutto quando si parla di talenti, a porsi la domanda è stata McKinsey in un report globale che è stato intitolato: “Gen What? Debunking age-based myths about worker preferences” (Gen cosa? Sfatare i miti basati sull’età nelle preferenze dei lavoratori). Vi si analizzano e confrontano le preferenze occupazionali di quasi 30mila lavoratori appartenenti a cinque fasce d’età: la Gen Z (18-24 anni), i giovani millennial (25-34 anni), i millennial (35-44 anni), la Gen X (45-54 anni) e i giovani baby boomer (55-64 anni). Il campione considerato è di provenienza globale: 13.386 lavoratori arivano da Australia, Canada, India, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti, 16.246 dall’Europa (in particolare da Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svizzera) e 3.164 dal Medio Oriente (Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).
Le sfumature
La generazione che si distingue maggiormente nelle risposte è sicuramente la GenZ che, tra tutte, è quella che attribuisce meno peso allo stipendio. Tutte le altre, invece, hanno un orientamento molto più simile, dove le differenze nelle risposte sono racchiuse in pochi punti percentuali. Sicuramente c’è un tema che mette tutti d’accordo e cioè il total compensation che è una delle principali ragioni per cui si lascia un lavoro o se ne accetta uno nuovo o si resta in un’azienda. Federico Marafante, partner di McKinsey, basato a Milano, e responsabile della practice organizzazione per l’area del Mediterraneo, spiega che «ci sono dei fattori definiti igienici che accomunano le scelte di tutti e che costituiscono una sorta di base minima al di sotto della quale non si può andare. Parliamo di caratteristiche necessarie, come ad esempio la retribuzione o la sicurezza sul lavoro. E poi ci sono tutti i fattori motivanti come un lavoro gratificante o la crescita professionale. Come emerge dalle risposte alla nostra survey, il pacchetto da offrire deve integrare entrambi gli elementi, non bastano infatti né i soli fattori igienici, né solo quelli motivanti. Tra coloro che hanno intenzione di lasciare il proprio lavoro, le ragioni principali sono presenti in percentuali molto vicine in tutte le fasce d’età: retribuzione inadeguata, mancanza di opportunità di crescita, assenza di una leadership motivante, mancanza di scopo o purpose, e aspettative di performance non sostenibili. Volendo rilevare le principali differenze, la Gen Z è quella che considera maggiormente la gratificazione professionale una valida ragione per accettare un nuovo impiego, tanto quanto la flessibilità. Rispetto ai dipendenti delle altre generazioni, la Gen Z considera inoltre la retribuzione un fattore leggermente meno importante».
Perché si lascia un’azienda
Ma vediamo il report. Della spinta a lasciare un lavoro per la retribuzione inadeguata parla il 32% della Gen Z che rappresenta la percentuale più bassa, il 41% dei Millennial giovani, il 45% dei Millennial, il 44% della Gen X e il 41% dei Baby boomer: dietro la media del 42%, spicca quindi solo il dato più basso della Gen Z. Se prendiamo invece la mancanza di opportunità di crescita e carriera la media di chi lo indica come motivo per lasciare il posto di lavoro è sempre il 42% e c’è più omogenietà ancora nelle risposte. Lo dice infatti il 40% della Gen Z, il 43% dei Millennial giovani, il 43% dei millennial, il 42% della Gen X e il 42% dei baby boomers giovani. Una leadership poco motivante mette in fuga il 34% degli intervistati: il 27% della Gen Z, il 32% dei Millennial giovani, il 30% dei Millennial, il 37% della Gen e il 40% dei Baby boomers giovani. In questo caso particolare emerge una sostanziale differenza nel sentimento dei più giovani, meno attenti alla leadership e dei senior che invece la ritengono un fattore molto importante.
... e perché si resta
Andando a vedere l’altra faccia della medaglia e cioè i motivi principali che spingono i lavoratori a restare in un’azienda si scopre che la retribuzione adeguata è prioritaria per 41%. Ancora una volta a distinguersi è la Gen Z: lo dice il 28%, meno di uno su tre. Salendo nell’età, lo dicono invece il 39% dei Millennial giovani, il 41% dei Millennial, il 44% della Gen X e dei baby boomer. La flessibilità è prioritaria per il 39%: lo dice il 35% della Gen Z, il 40% dei Millennial giovani, il 41% dei Millennial, il 38% della Gen X e il 36% dei Baby boomer giovani. L’ambiente di lavoro collaborativo evidenzia ancora più analogie nelle risposte: in media è prioritario per rimanere in un’azienda per il 31% dei lavoratori: questa percentuale è la stessa per Gen Z, Millennial Giovani, Gen X, mentre è leggermente inferiore, 30%, per Millennial e Baby boomer. Molto simili anche le risposte sull’ambiente di lavoro sicuro, mentre le differenze si accentuano quando si parla di opportunità di crescita e di carriera che sono molto rilevanti per Gen Z e Millennial giovani (35%), meno per Millennial (25%) e Gen X (20%), fino ad arrivare al 14% dei Baby boomer giovani.