Il lavoratore rifiuta di fatto il trasferimento: valutazione della sua buona fede
La Corte di cassazione, con la sentenza 7392 del 7 marzo 2022, ha stabilito che «in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell'articolo 2103 del codice civile, l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede».
La vicenda che ha interessato la Suprema Corte era già stata oggetto di un giudizio della stessa corte di legittimità che aveva cassato l'impugnata decisione 3043/2017 della Corte di appello di Roma e che aveva quindi demandato alla medesima corte territoriale - in diversa composizione - un nuovo esame del caso.
La Corte di appello di Roma, riassunto il caso, con decisione 1811/2019 aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro a decorrere dalla data di licenziamento e aveva condannato la società al risarcimento del danno mediante pagamento di una indennità risarcitoria pari a sei mensilità, rilevando:
- che il licenziamento era stato intimato previo avvio di un procedimento disciplinare per assenza ingiustificata della lavoratrice in relazione alla sede presso la quale era stata trasferita;
- che il licenziamento doveva ritenersi illegittimo in applicazione della tutela di cui all’articolo 18, comma 6, della legge 300/1970, stante la natura procedurale della violazione, per avere considerato il datore di lavoro tardive giustificazioni che in realtà era pervenute nei tempi;
- non applicabile la maggiore tutela prevista dai commi 4 e 5 dell'articolo 18 citato inerente alla erronea individuazione della fattispecie applicabile, nello specifico rifiuto al trasferimento anziché assenza ingiustificata.
La lavoratrice proponeva ricorso per cassazione sostenuto da sei motivi, a cui resisteva la società con controricorso.
I motivi di nostro interesse possono essere così sintetizzati:
- violazione e falsa applicazione dell'articolo 7, comma 2, e articolo 18, comma 1, n. 4 e 6, della legge 300/1970 in quanto la Corte d'appello non aveva ritenuto l'omissione del contradditorio tale da rendere illegittimo il procedimento disciplinare e quindi non prevedendo la sanzione massima della reintegra;
- violazione e falsa applicazione dell'articolo 54, comma 5, lettera E del ccnl per avere ritenuto la Corte d'appello che la diversità della contestazione – assenza ingiustificata o rifiuto al trasferimento – comportasse solo il riconoscimento del preavviso e non la nullità del licenziamento con il ripristino del rapporto di lavoro;
- violazione dell'articolo 132 e dell'articolo 360 del codice di procedura civile, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale affermato, in relazione alla sentenza del Tribunale che aveva rigettato il distinto ricorso avverso il trasferimento, che la ricorrente si era limitata «ad affermare di avere proposto appello avverso la sentenza n. 18508/2016 non fornendo elementi specifici tali da portare questa Corte a disattendere le conclusioni della sentenza menzionata», contrariamente a quanto diffusamente esposto nel ricorso in riassunzione;
- in relazione, tra l'altro, alla erronea e falsa applicazione dell'Accordo sindacale del 14 febbraio 2014 soprattutto nella parte in cui si afferma che esso si applicava anche alla fattispecie ivi disciplinata del trasferimento della dipendente ultracinquantenne solo per esigenze eccezionali adeguatamente motivate.
Secondo la Cassazione, con riferimento al primo motivo ritenuto infondato, la Corte di merito aveva applicato correttamente il principio secondo cui la violazione dell'obbligo del datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa – in un procedimento disciplinare – comporta la violazione di una procedura e rende operativa la tutela di cui all’articolo 18, comma 6, e quindi non quella relativa alla reintegra.
Con riferimento al secondo motivo inammissibile per carenza di interesse, La Cassazione ha considerato che «La questione relativa alla individuazione della fattispecie applicabile (rifiuto del trasferimento anziché assenza ingiustificata) è stata ritenuta assorbita dalla Corte di merito (pag. 6, 4 cpv). In tema di giudizio di cassazione, sono state appunto ritenute inammissibili, per carenza di interesse, le censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, bensì su questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell'impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (Cass. n. 22095/2017; Cass. n. 23558/2014; Cass. n. 4804/2007).
Sul quarto e quinto motivo da esaminarsi congiuntamente in quanto in connessione logico giuridica, si legge nella sentenza in esame che la Corte territoriale aveva valutato il fatto che si assume, dalla ricorrente, omesso - la ritenuta legittimità del trasferimento - facendo proprie le conclusioni della sentenza 18508/2016 del Tribunale di Roma di primo grado che si era pronunciata sul punto.
Si aggiunga poi, che con riferimento alle problematiche riguardanti la legittimità del trasferimento, con particolare riguardo alla applicabilità soggettiva del citato Accordo ovvero alla nullità dello stesso, non si palesano decisive, ai fini del presente giudizio concernente il disposto licenziamento, perché è orientamento ormai consolidato quello secondo cui, «in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell'articolo 2103 del codice civile, l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede […]».
Si ritiene opportuno in questa sede ricordare che la stessa Corte aveva sostenuto che (Cass. n. 11408/2018):
- l'inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell'articolo 1460 del codice civile, comma 2, secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede;
- la relativa verifica deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell'ambito delle quali si può tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che devono essere considerati nell'ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli articoli 35, 36 e 41 della Costituzione.
Tale valutazione, peraltro, rimessa all'esame del giudice di merito, incensurabile in cassazione, è stata svolta, secondo quanto si legge in sentenza dalla Corte di merito competente che aveva ritenuto legittimo il trasferimento disposto.
Alla luce di tutto quanto sopra, la Suprema Corte confermava la legittimità della sentenza impugnata, rigettando il ricorso della lavoratrice.