Il premio di produzione fisso mensile
Occorre premettere che ai sensi dell’art. 25, comma 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, al lavoratore assunto a tempo determinato spetta lo stesso trattamento economico e normativo applicato ai lavoratori assunti a tempo indeterminato ed aventi il medesimo inquadramento contrattuale previsto dalla contrattazione collettiva, sia pure in proporzione al periodo lavorativo di minor durata prestato e sempre tale trattamento che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato. Sotto tale profilo, la giurisprudenza ha inoltre sancito che il mancato riconoscimento ai lavoratori assunti a tempo determinato del compenso incentivante, diretto a remunerare la realizzazione di reali e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza e/o efficacia, contrasta con il principio di non discriminazione, salvo che tale disparità di trattamento non sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguano il rapporto a termine (ex multis, Cass. 29.12.2015, n. 26007). Con riferimento, invece, all’ambito di applicazione della contrattazione collettiva di lavoro, sebbene quest’ultima abbia natura privatistica e vincoli esclusivamente gli aderenti alle associazioni sindacali firmatarie di tali accordi e gli altri soggetti che vi aderiscano con altre modalità, è altresì noto che la contrattazione collettiva non possa avere efficacia erga omnes, né prevedere deroghe alle disposizioni di legge o del contratto collettivo nazionale di categoria, salvi i casi previsti dai c.d. “accordi di prossimità” di cui all’art. 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge dall'art. 1 della L. 14.09.2011, n. 148. Più in particolare, affinché i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale possano legittimamente derogare alle disposizioni di legge e del CCNL, è necessario che rispondano ai seguenti requisiti: siano stipulati da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda; siano sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario; siano finalizzati alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. Inoltre, sempre affinché i suddetti accordi di prossimità siano validi ed efficaci nei termini sopra indicati, gli stessi devono disciplinare una delle materie indicate dalle suddetta norma, tra le quali sono espressamente annoverati, per quanto interessa in relazione al caso in esame, le mansioni del lavoratore, la classificazione e inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto; le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro. Inoltre, giova rammentare che ai sensi del comma 3 dell’art. 8 della succitata norma, le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce, a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori. Risulta infine utile richiamare il principio espresso da una recente pronuncia (Tribunale di Firenze del 4 giugno 2019, n. 528), secondo cui l'accordo collettivo di prossimità ex art. 8 del Decreto Legislativo 13.8.2011 n. 138, che consente di derogare nelle materie ivi tassativamente indicate alle disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di lavoro, costituisce un istituto di carattere eccezionale, che non è applicabile al di fuori delle specifiche finalità contemplate dalla norma. Ne consegue che non è valido l'accordo di prossimità nel quale non siano state specificamente indicate le ragioni di fatto che sorreggono la finalità derogatoria enunciata nell'accordo collettivo aziendale. Applicando i suddetti principi al caso in esame, si rileva preliminarmente che l’accordo integrativo aziendale di gruppo di cui trattasi è stato concluso nell’anno 1998, ossia in epoca precedente l’entrata in vigore delle norme che hanno consentito il ricorso agli accordi di prossimità e che, pertanto, permettono di derogare alle previsioni contrattuali collettive e normative al ricorrere delle suesposte condizioni: per tali ragioni, poiché tale accordo collettivo è stato stipulato allorché non vigevano norme che consentivano di derogare al principio di parità di trattamento economico e normativo che la legge assicura al lavoratore assunto a tempo determinato, tale accordo potrebbe risultare illegittimo. Inoltre, anche a voler prescindere dalle suesposte ragioni, non è dato sapere se ed a quali condizioni tale accordo integrativo sia stato approvato dalle organizzazioni sindacali e se, pertanto, siano stati comunque rispettati i principi di rappresentanza sindacale necessari affinché tale accordo sia valido ed efficace nei confronti di tutti i lavoratori assunti in azienda, a prescindere dalle materie che disciplina e dai diritti che riconosce o deroga. Né è dato sapere se in tale accordo siano state previste ragioni giuridicamente tutelabili che potevano legittimare la deroga al suddetto principio di parità di trattamento economico e normativo in favore dei lavoratori a termine. Pertanto, in ragione di quanto precede, si ritiene che il suddetto accordo integrativo aziendale possa essere impugnato dal lavoratore, il quale potrebbe agire per farne accertare l’illegittimità e/o l’inapplicabilità al proprio rapporto di lavoro, rivendicando in giudizio il mancato pagamento dei premi non corrispostigli in conseguenza di tale accordo.