Intervento del Fondo di Garanzia e mancato accertamento del passivo fallimentare
Il messaggio INPS n. 4302 del 24 giugno 2015 arricchisce il già ampio catalogo delle istruzioni operative destinate agli uffici dell'Istituto ed in generale a tutti gli interessati (si vedano ad es. le circolari n. 74/2008 e n. 32/2010) in merito ai complicati rapporti tra tutela del Fondo di Garanzia presso l'INPS per il pagamento del TFR e delle ultime mensilità retributive per i casi di insolvenza del datore di lavoro (l. n. 297/1982 e d.lgs. n. 80/1992) e le modalità di dimostrazione dei requisiti per l'accesso alla prestazione in caso di datore di lavoro soggetto o non soggetto a procedura concorsuale.
Anche questa volta l'intervento risponde all'esigenza di chiarire in che cosa debba consistere la dimostrazione della insufficienza delle garanzie patrimoniali, quale requisito per l'accesso alle prestazioni del Fondo ex art. 1, quinto comma, l. n. 297/1992 quando il datore di lavoro, in concreto (e non solo in astratto), non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare.
Nelle ipotesi fisiologiche, per la dimostrazione della non assoggettabilità alle procedure concorsuali, l'INPS chiede un provvedimento giudiziale di reiezione dell'istanza di fallimento (cfr. circolare INPS n. 74/2008). Tuttavia il mutato quadro normativo ad opera dei decreti legislativi nn. 5/2006 e 169/2007, che in sostanza hanno dato vita ad un vero e proprio "nuovo diritto fallimentare", ha imposto all'INPS un'opera di adeguamento e di aggiornamento (che continua anche oggi) di regole già indicate sulla base dei testi di legge istitutivi del Fondo e strutturate sulla base del vecchio testo della legge fallimentare.
Il tutto con lo scopo di fornire un'adeguata ed effettiva tutela ai lavoratori, secondo i precetti della normativa europea (Direttiva 20 ottobre 1980 n. 987 attuata dal Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 80). Un esempio di questi interventi è fornito dalla circolare n. 32/2010 che, sulla base di principi giurisprudenziali via via consolidatisi, ha interpretato l'espressione, riferita al datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni del RD 267/42 come in concreto non assoggettabile a fallimento.
Dunque, in tutti i casi in cui il Tribunale non ritenga di aprire la procedura concorsuale sia per i motivi di cui all'art. 1 comma 2 L.F., sia per le cause previste dagli artt. 10, 11 e 15 comma 9 l.f., il lavoratore potrà aver accesso al Fondo di garanzia sulla base dei requisiti previsti dall'art. 2, comma 5 della L 297/82 (datore di lavoro non assoggettabile a fallimento, con dimostrazione della insufficienza delle garanzie patrimoniali). Peraltro, non è necessario produrre il provvedimento giudiziale di reiezione nell'ipotesi in cui il lavoratore dimostri (mediante certificazione CCIA) la cancellazione dell'imprenditore da oltre un anno rispetto alla data di presentazione della domanda di intervento.
Quanto poi all'ipotesi di intervento nel caso in cui il Tribunale, superato il vaglio della fallibilità, decreti di non procedere all'accertamento del passivo, secondo la previsione dell'art. 102 L.F. (mancanza di attivo da distribuire), non essendo possibile in concreto l'ammissione del credito del lavoratore allo stato passivo, l'INPS (circ. n. 32/2010) ritiene allo stesso modo il datore di lavoro come non soggetto alle procedure concorsuali (art. 2, comma 5, l. n. 292/1982).
Il messaggio INPS n. 4302/2015 completa la disciplina ed afferma che nell'ipotesi in cui il datore di lavoro sia una società a responsabilità limitata o una società per azioni, la prova del requisito della insufficienza delle garanzie patrimoniali si intende raggiunta mediante la produzione del decreto di chiusura della procedura concorsuale per mancanza di attivo, in quanto a tale atto segue necessariamente (come indicato dall'art. 118 della l.f.) la cancellazione dal Registro delle Imprese. In altre parole, l'estinzione della società rende di per sé impossibile l'esperimento di azioni esecutive individuali nei suoi confronti, prima di ogni tentativo e dunque senza necessità di ulteriore dimostrazione. In ogni caso, il lavoratore non è esonerato dalla prova dell'esistenza del credito (non accertato, in questo caso, in sede fallimentare mediante l'ammissione al passivo) che dovrà essere effettuata producendo l'originale del titolo esecutivo.
Nell'esemplificazione dei titoli esecutivi per il recupero di somme a carattere retributivo dovute al lavoratore, correttamente l'INPS segnala anche la diffida accertativa quale atto che, con provvedimento del Direttore della Direzione del Lavoro, acquista valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo (cfr. art. 12 del d.lgs. n. 124/2004).
Dunque la soddisfazione di un diritto soggettivo privato può passare non solo attraverso un atto formato su iniziativa del lavoratore (la sentenza, o il decreto ingiuntivo o il decreto di esecutività di cui all'art. 411, comma 3, c.p.c. del verbale di conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c.), ma anche attraverso un atto di esclusiva provenienza e formazione amministrativa.