Contenzioso

La legittimità del trasferimento può essere contestata ma il lavoratore intanto deve adempiere

La contestazione del provvedimento non autorizza il dipendente a rifiutarsi di prendere servizio nella nuova sede

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di Marcello Floris

Uno dei casi più tipici e frequenti in giurisprudenza di rifiuto di eseguire la prestazione è quello del trasferimento del dipendente. Il datore talvolta dispone trasferimenti di dipendenti che possono essere ritenuti a vario titolo illegittimi o ritorsivi. In tempi non lontani la Cassazione ha ritenuto che il trasferimento del lavoratore presso un’altra sede, giustificato da oggettive esigenze organizzative aziendali, consente al medesimo di chiederne giudizialmente l’accertamento di legittimità, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’ imprenditore, in base agli articoli 2086 e 2104 del Codice civile, e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex articolo 1460 del Codice civile, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte. Nel caso specifico, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva giudicato ingiustificato il rifiuto della lavoratrice di prendere servizio nella nuova sede di lavoro, avvenuto prima dell’inadempimento del datore di lavoro alla sua richiesta di convocazione per un’audizione (Rigetta, App. Potenza, 04/10/2012 e Cassazione 26 settembre 2016, n. 18866).

Da verificare la buona fede del lavoratore che rifiuta

Secondo la decisione, la necessità di accertare la conformità a buona fede dell’inottemperanza del lavoratore al trasferimento, ex articolo 1460 comma 2 del Codice civile, non può essere eliminata assumendo che la nullità del provvedimento datoriale, per violazione dell’articolo 2103 del Codice civile, renderebbe il provvedimento privo di effetti, per cui dallo stesso non potrebbe sorgere alcun obbligo di esecuzione a carico del lavoratore.

Il provvedimento datoriale affetto da nullità per violazione dell’articolo 2103 del Codice civile deve essere ricondotto all’ambito dell’inadempimento parziale, per il quale valgono i principi in tema di necessità di verifica, in base all’articolo 1460 del Codice civile, della non contrarietà alla buona fede del rifiuto del lavoratore di rendere la propria prestazione.

La giurisprudenza prevalente formatasi sul tema, ha appunto stabilito che l’ inottemperanza del lavoratore al trasferimento illegittimo deve essere valutata, alla luce del disposto dell’articolo 1460, comma 2 del Codice civile, secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede (Cassazione, 3959 del 29/2/2016; 11408 dell’ 11/5/2018, n. 11408; 434 del 10/1/2019).

I casi di trasferimenti ritenuti nulli

Non mancano però pronunce in cui invece il trasferimento, non adeguatamente giustificato ex articolo 2103 del Codice civile, è stato giudicato nullo, con la conseguenza che la mancata ottemperanza allo stesso provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione, sia quale attuazione di un’eccezione di inadempimento (articolo 1460 del Codice civile), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali che imponga l’ottemperanza agli stessi fino a un contrario accertamento in giudizio (Cass. 24/07/2017, n. 18178; Cass. 25/09/2018, n. 22656). L’orientamento da ultimo menzionato attualmente sembra comunque essere minoritario.

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