Contratti & contrattazione collettivaEditoriale

Le competenze per la competitività: quale spazio per la contrattazione collettiva

di Michele Tiraboschi

N. 35

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Alla luce del recente "rapporto Draghi", la formazione professionale e la formazione terziaria rappresentano una sfida fondamentale per il nostro tempo e spetta anche alle parti sociali cogliere l'occasione di fare della formazione una leva per l'innovazione e la competitività

Tra le questioni poste dal "rapporto Draghi" sul futuro della competitività europea è passato quasi inosservato il passaggio nel quale si afferma che «la competitività oggi dipende meno dal costo del lavoro e più dalla conoscenze e dalle competenze della forza lavoro». A rallentare la capacità produttiva delle imprese europee, secondo l'analisi dell'ex Presidente del Consiglio italiano, è proprio il disallineamento tra le competenze offerte dai sistemi di istruzione e formazione e i fabbisogni professionali delle aziende, nonostante le ingenti risorse stanziate negli ultimi decenni proprio dai fondi comunitari.

Il problema è antico e ben presente nelle relazioni industriali italiane sin dall'inizio del ventunesimo secolo, basti pensare alle decine di piccole e grandi riforme intervenute in materia di apprendistato, individuato come canale privilegiato di dialogo tra la scuola e il lavoro, ma mai del tutto decollato, almeno nella sua versione "duale" in cui l'apprendista si alterna concretamente tra l'azienda e i banchi di scuola (o università). Anche più recentemente, anche grazie ai finanziamenti del PNRR è in corso un rilancio della filiera formativa tecnologica-professionale composta dal complesso sistema di percorsi sperimentali quadriennali di istruzione e formazione professionale (IeFP), di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) e di istruzione tecnologica superiore (ITS). A mancare però non sono tanto le risorse economiche né quelle normative, visto che il quadro di regole e competenze è da tempo assestato (come nel caso dell'apprendistato) o comunque in via di perfezionamento (come per la riforma dell'ITS avviata nel 2022), quanto piuttosto una capacità di progettazione e di implementazione nelle istituzioni formative, nei territori e nelle imprese. In tal senso, peraltro, non possono essere trascurate le responsabilità degli attori delle relazioni industriali – organizzazioni sindacali, datoriali, ma anche consulenti e professionisti – che in fase di concertazione o di dibattito pubblico invocano puntualmente un protagonismo delle relazioni sindacali nella governance dei sistemi di transizione scuola-lavoro, ma poi mancano di dare gambe alle risorse e agli strumenti a disposizione.

In questo scenario, sono da salutare positivamente le esperienze in cui organizzazioni datoriali (quelle sindacali latitano) si fanno promotori di percorsi IFTS e ITS, indicando i fabbisogni del mercato del lavoro e le competenze da acquisire, così come tutta quella serie di interventi dei contratti collettivi decentrati volti a gestire i percorsi di transizione scuola-lavoro.

Dalle ricerche degli osservatori Fareapprendistato.it e Farecontrattazione.it, curati da ADAPT, emergono alcune clausole contrattuali e sperimentazioni volte in particolare a introdurre linee guida dedicate ai percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento (ex alternanza scuola-lavoro) nonché l'apprendistato. In particolare, non sono pochi i casi in cui la contrattazione aziendale abbia previsto un impegno nel favorire i percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento, istituendo tavoli di confronto specifici (Parmalat) o altre forme di collaborazione tra azienda e rappresentanze sindacali (MBDA), disponendo che gli studenti coinvolti nei percorsi possano beneficiare di una specifica formazione anche sui temi della salute e sicurezza sul lavoro e sui diritti sindacali (LTE - Lift Truck Equipment), valorizzando il ruolo dei PCTO nel collegamento tra formazione e lavoro (Luxottica). In altri casi, inoltre, la contrattazione collettiva ha previsto specifiche collaborazioni con scuole e istituti del territorio, promuovendo stabilmente l'incontro tra istruzione e aziende (Fassa; Marzotto).

In materia di apprendistato, l'ambito privilegiato è quello dell'apprendistato professionalizzante - del resto, come documentano gli osservatori ADAPT solo un CCNL su tre disciplina l'apprendistato duale - rispetto al quale molti accordi decentrati hanno previsto una disciplina di maggior favore rispetto a quella dettata dal D. Lgs. n. 81/2015 e dai contratti collettivi nazionali di categoria, disponendo la stabilizzazione al termine del periodo formativo di un numero minimo di lavoratori (AON), valorizzando il rispetto del piano formativo ai fini dell'erogazione della retribuzione premiale (Banca di Sondrio), considerando valida la fase formativa del contratto ai fini del computo degli scatti di anzianità (Ferrero) e stabilendo l'inquadramento in un livello più elevato rispetto a quanto previsto in sede nazionale per gli apprendisti (Marchiol). Non mancano neppure previsioni in materia di tirocini curriculari ed extracurriculari, con clausole che impegnano la parte datoriale a ospitare iscritti degli ITS del territorio (Bolton Food) ovvero ad accogliere, per il periodo estivi, i figli dei dipendenti (San Lorenzo).

È chiaro comunque che si tratta perlopiù di impegni programmatici con efficacia limitata e natura episodica, mentre scarseggiano interventi di sistema, che potrebbero portare le parti sociali ad assumere un ruolo più incisivo nella costruzione dei mestieri e delle professionalità richieste dal mercato del lavoro. Su questo versante, è tutto da sviluppare l'apporto che può essere fornito dalla partecipazione e dalla bilateralità: gli enti bilaterali e i fondi interprofessionali per la formazione continua, nello specifico, possono ulteriormente potenziare alcune attività, finanziando piani territoriali dedicati al governo sociale delle transizioni, monitorando i fabbisogni formativi e predisponendo le attività di costante aggiornamento dei profili formativi. Così come sono da esplorare le modalità di raccordo tra le azioni formative e i sistemi di classificazione e inquadramento del personale che dovrebbero fungere da criterio guida della programmazione e progettazione dei percorsi di apprendimento mentre invece oggi sono ridotti a mere scale salariali. Quella relativa alla formazione professionale e alla formazione terziaria rappresenta una sfida fondamentale per il nostro tempo e spetta anche alle parti sociali cogliere l'occasione di fare della formazione non solo una leva per l'innovazione e la competitività, ma anche per riaffermare una loro centralità "politica" nei processi decisionali su economia e lavoro che altrimenti, come dimostra lo stesso rapporto Draghi che omette ogni riferimento agli attori della rappresentanza, rischia di venir meno.

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