Contenzioso

Nullo il patto di prova con mansioni generiche

Secondo la Corte d’appello di Milano bisogna indicare l’esatto profilo di riferimento. Rinvio al contratto collettivo soltanto in caso di richiamo sufficientemente specifico

di Giampiero Falasca

Patto di prova nullo se non accompagnato da una descrizione chiara e specifica delle mansioni. La Corte d’appello di Milano (sentenza 6 marzo 2023) riporta al centro dell’attenzione un aspetto molto importante e troppo spesso trascurato, quello dei requisiti necessari affinché il patto di prova possa essere validamente applicato.

La controversia decisa dalla Corte era stata promossa da un lavoratore assunto con mansioni di «impiegato capo area» e periodo di prova della durata di cinque mesi; questo dipendente era stato licenziato per mancato superamento della prova, ma aveva impugnato il licenziamento per nullità dello stesso patto con cui era stata prevista la prova.

Il lavoratore centrava la propria domanda, in particolare, sulla mancata descrizione delle mansioni nel contratto di assunzione e durante il periodo in cui concretamente si era svolto il rapporto di lavoro.

In primo grado il Tribunale aveva respinto la domanda del lavoratore, ritenendo che l’indicazione delle mansioni che costituivano oggetto del patto potesse essere ricostruita anche «per relationem», facendo riferimento alle declaratorie previste dal contratto collettivo di lavoro.

La Corte d’appello, riformando la decisione del Tribunale, accoglie invece l’impugnazione del lavoratore, ritenendo nullo il patto di prova apposto al contratto per genericità delle mansioni indicate. A sostegno di questa decisione la Corte richiama l’orientamento della Cassazione, secondo il quale il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto; è ammesso il rinvio al contratto collettivo solo se il richiamo sia sufficientemente specifico (sentenza 1099/2022), con la conseguenza che se nella declaratoria contrattuale ci sono diversi profili per lo stesso livello, bisogna indicare con precisione a quale si fa riferimento.

Questa indicazione specifica, prosegue la sentenza, è un presupposto indispensabile affinché il datore di lavoro possa esprimere validamente la propria insindacabile valutazione in merito all’esito della prova. Quindi, se una categoria prevista dal contratto collettivo accorpa più di un livello professionale, è necessario fare riferimento, nel patto di prova, al singolo e specifico profilo, onde evitare di cadere nel vizio di genericità. Nel caso rimesso alla valutazione della Corte la categoria di «capo area» assegnata al lavoratore non era neanche prevista nel livello contrattuale assegnato allo stesso e, in ogni caso, a quel livello corrispondevano ben 17 differenti profili professionali. Una situazione che, ad avviso della Corte, determina un vizio genetico del patto di prova, che è nulla sin dall’inizio e determina la conversione (in senso atecnico) del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato, che può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamenti.

La Corte, infine, precisa quali sono le conseguenze applicabili al licenziamento: considerato che il rapporto è soggetto al Dlgs 23/2015 (le norme sul contratto a tutele crescenti) viene ritenuto applicabile quanto previsto dall’articolo 2 del decreto, che sanziona i licenziamenti viziati da nullità con la reintegrazione e il risarcimento pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro.

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