Rapporti di lavoro

Occupazione femminile al 51%, ma il tasso resta di 18 punti inferiore a quello maschile

Domina il part time con un aumento nel 2022 al 31,7%: record italiano

di Cl.T.

Lo scorso anno il tasso di occupazione femminile nella fascia d’età 15-64 anni è stato pari al 51,1 per cento, il valore più elevato negli ultimi tre decenni. Tutto bene quindi così? Assolutamente no. Il tasso di occupazione femminile 2022, è scritto nella relazione di Bankitalia, è ben 18,1 punti inferiore a quello maschile. Una forbice di gran lunga superiore a quella dei principali paesi Ue e dipende da una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, la più bassa nell’Unione europea.

Il nodo è storico. Negli ultimi trent’anni la crescita dell’occupazione femminile è stata favorita dalla diffusione dei contratti part-time, che permettono una migliore conciliazione tra famiglia e lavoro: mentre all’inizio degli anni novanta poco più di una lavoratrice su dieci era occupata a tempo parziale, nel 2022 la percentuale è salita al 31,7 per cento (per gli uomini dal 2,4 al 7,7 per cento). L’Italia è anche lo Stato europeo con la più alta quota di donne per le quali la scelta dell’orario ridotto è determinata dalla mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno (più di una donna su due rispetto a meno di una donna su cinque nella media europea).

La crescita più marcata del part-time, insieme alla forte diffusione dei contratti a termine, si è tradotta in un calo del numero medio di ore lavorate all’anno per occupato più forte per le donne che per gli uomini. Tra i dipendenti del settore privato il differenziale di genere in termini di unità annue di lavoro equivalenti a tempo pieno si è ampliato, passando dal 7 per cento all’inizio degli anni novanta a quasi il 15 nel 2021. Tutto ciò si trasforma in retribuzioni orarie femminili più basse rispetto a quelle degli uomini: il divario nel settore privato era circa l’11 per cento nel 2021.

Queste differenze, sempre secondo Bankitalia, nascono al momento della scelta dei percorsi scolastici, poiché le ragazze tendono a prediligere indirizzi di studio che sono associati a rendimenti inferiori nel mercato del lavoro, sia in termini di retribuzione sia di possibilità di impiego. I divari si accentuano poi con la maternità - evento che spinge ancora oggi molte madri ad abbandonare il proprio lavoro o a ridurre drasticamente le ore lavorate - e si ampliano nel corso della vita lavorativa, specie nelle fasce più alte della distribuzione salariale. Le donne sono infatti più spesso occupate con retribuzioni mediamente più basse e sono meno presenti nelle posizioni apicali. Al termine della vita lavorativa i redditi da pensione sono di conseguenza significativamente inferiori.

Quello che servirebbe sono pertanto politiche adeguate per sostenere la partecipazione femminile al lavoro in grado di migliorare le prospettive di crescita anche alla luce del consistente calo della popolazione che avrà luogo nei prossimi decenni. «Se il tasso di attività delle donne italiane convergesse sull’attuale livello medio europeo - chiosa Bankitalia - la riduzione della forza lavoro prospettata dalle più recenti proiezioni demografiche per il periodo 2022-2040 si dimezzerebbe».

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