Previdenza

Pensioni, servono 4,2 miliardi per gli assegni di cittadinanza

di Davide Colombo

A Ferragosto la Lega ha manifestato le sue perplessità sullo schema di disegno di legge firmato con i Cinquestelle per “ricalcolare” la parte retributiva delle pensioni superiori ai 4mila euro netti al mese, un provvedimento che garantirebbe 500 milioni utili per alzare le pensioni più basse a 780 euro. I tecnici dei due partiti si stanno confrontando sugli effetti del meccanismo ipotizzato, con i leghisti che caldeggiano l’alternativa di un contributo di solidarietà, magari ripartendo dalla proposta di Alberto Brambilla che prevedeva un prelievo triennale sugli assegni da 2mila euro lordi tra i 5 e i 7 euro al mese per reperire fino a 1,5 miliardi. Un nuovo confronto è previsto dopo il 20 agosto per trovare una soluzione da presentare a settembre. Ma quante risorse servirebbero per garantire una pensione “di cittadinanza” non inferiore ai 780 euro netti al mese (1.170 euro nel caso di coppie)? Ipotesi molto prudenziali parlano di circa 4,2 miliardi.

I beneficiari di questa maggiorazione sociale sarebbero tre milioni e 430mila pensionati con più di 65 anni che oggi vivono con un assegno più basso. Le stime sulla platea che proponiamo in questo articolo sono di fonte Istat e basate sui valori monetari lordi 2016 (il dato più recente disponibile) del Casellario centrale dei pensionati Inps. Dei 3,4 milioni considerati, 2,5 milioni sono donne, mentre gli uomini sono poco più di 916mila. Si tratta del 28% del totale dei pensionati over 65enni, incidenza che supera il 30% nelle otto regioni del Mezzogiorno e nella provincia autonoma di Trento. Poiché la pensione “di cittadinanza” sarà sicuramente soggetta alla prova dei mezzi (Isee entro una certa soglia) consideriamo i pensionati e non le singole pensioni poiché potrebbero essere sotto i 780 euro anche soggetti che sommano più trattamenti minimi.

La stima sui costi delle nuove pensioni “di cittadinanza” è invece di Tabula, la società di consulenza di Stefano Patriarca, ed è prudenziale come detto, poiché non si conoscono le articolazioni effettive del provvedimento e si parte dal presupposto che solo 1,7 milioni di quella platea abbia un reddito complessivo inferiore ai 780 euro. Si tratterebbe di 814mila soggetti che già godono delle maggiorazioni sociali, e che avrebbero bisogno di un incremento di 101 euro netti al mese per raggiungere la soglia “di cittadinanza” (costo 1,1 miliardi) e 886mila pensionati senza maggiorazioni sociali, per i quali l’addendum necessario per allinearsi a 780 euro è di 270 euro al mese (3,1 miliardi l’anno). «Al netto degli aspetti finanziari e dunque della sostenibilità dell’operazione – dice Patriarca – bisogna considerare sia le interazioni con il Reddito di inclusione, sia gli effetti perequativi, perché appena sopra la soglia di cittadinanza ci sono pensionati che hanno una pensione previdenziale molto bassa frutto di una vita di contributi, e non in tutti i casi anche le nuove 14esime sarebbero in grado di differenziare equamente le posizioni».

La pensione “di cittadinanza” dovrebbe entrare nella prima legge di Bilancio della legislatura, visti gli impegni assunti dai due leader del governo gialloverde e dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sul fronte del Reddito di cittadinanza, l’altra misura che verrebbe assicurata con la prova dei mezzi e la condizionalità che i beneficiari accettino un progetto di inclusione lavorativa. Sul fronte delle coperture per il momento c’è solo l’impegno della maggioranza di attivare un Fondo ad hoc in cui far confluire i risparmi derivanti dalla correzione annunciata sulle cosiddette “pensioni d’oro”, appunto. Ma i tecnici che lavorano a questo dossier e che ora stanno riconsiderando il disegno di legge confidano anche sulle ricognizioni in corso su tutto il sistema delle attuali prestazioni assistenziali, parte delle quali in futuro potrebbero essere a loro volta condizionate al test Isee per liberare risorse da riallocare alle pensioni “di cittadinanza”.

Ma qual è la “distanza giusta” tra pensioni massime e minime? A questa domanda sull’equità distributiva percepita del nostro sistema previdenziale ha cercato di rispondere Emiliano Mandrone, ricercatore Istat che per lunghi anni ha curato l’indagine Plus di Isfol (ora Inapp). Per gli italiani il rapporto dovrebbe essere pari a 3,7 volte, con assegni tra 900 e 3.100 euro al mese. Scrive Mandrone su lavoce.info, dove presenta i risultati della ricerca: «Si può definire la giusta misura come il rapporto tra la pensione massima e quella minima: è pari a 3,7 volte per la popolazione e a 2,5 volte per i pensionati. Se consideriamo al denominatore la pensione sociale (500 euro) si arriva a circa 7 volte, proprio il valore indicato in un altro studio da Tito Boeri e Tommaso Nannicini».

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