Contenzioso

Prova diabolica per il calcolo al netto dell’indennità

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di Angelo Zambelli

Con l’ordinanza 3824/2022, la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui «in base all’articolo 18, comma 4, legge 300 del 1970…la determinazione dell’indennità risarcitoria deve avvenire attraverso il calcolo dell’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum e, comunque, entro la misura massima corrispondente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto…; se il risultato di questo calcolo (relativo al pregiudizio effettivamente subito dal lavoratore n.d.r.) è superiore o uguale all'importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l’indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo».

La Cassazione ha ribadito l’onere del datore di lavoro, che contesti la pretesa risarcitoria del dipendente illegittimamente licenziato, di provare, sia pure con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum e percipiendum, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito.

In secondo luogo, è stato chiarito l’iter logico da seguire per la quantificazione dell’indennità risarcitoria, come riportato nel principio di diritto. Se è vero che il metodo di calcolo proposto è coerente con il principio della compensatio lucri cum damno, che presuppone una valutazione complessiva sia del danno, sia dell’incremento patrimoniale, causalmente ricollegabili al medesimo fatto illecito, l’onere della prova del datore di lavoro risulta particolarmente gravoso, tanto da rendere la prova quasi diabolica.

Per rendere meno gravoso tale onere, sarebbe auspicabile un “alleggerimento” degli oneri di deduzione incombenti sul datore in virtù del principio della cosiddetta vicinanza della prova, atteso che, nel periodo di estromissione, al datore di lavoro è di fatto preclusa qualsiasi indagine circa le vicende occupazionali del dipendente.

A tal fine, inoltre, sarebbe ragionevole rendere il ricorso allo strumento istruttorio dell’ordine di esibizione (articolo 210 del Codice di procedura civile) più accessibile al datore di lavoro, ciò anche in deroga ai principi enucleati in materia dalla giurisprudenza più rigorosa.

Senza contare che, con riguardo all’aliunde percipiendum, sarebbe stato opportuno chiarire le modalità di assolvimento dell’onere probatorio, ovvero in che modo il datore di lavoro possa dimostrare che il dipendente avrebbe potuto rinvenire una nuova occupazione utilizzando l’ordinaria diligenza (profilo del tutto ignorato dall’ordinanza che tratta unitariamente i concetti, in verità distinti, dell’aliunde perceptum e dell’aliunde percipiendum).

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